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Skanderbeg, l’eroe nazionale albanese

di Paula Hysenbelliu Tushi*

La piccola e variegata regione dei Balcani, oltre per il buon cibo e il folclore, è nota tristemente anche per le diverse correnti nazionalistiche che nei secoli hanno attraversato le diverse zone da cui è composta. L’esacerbarsi dei movimenti nazionalisti ha portato a eventi catastrofici quali guerre, pulizie etniche e più in generale a costanti tensioni politiche. Spesso e volentieri, queste correnti trovano il proprio fondamento in un passato e in figure considerate gloriose.

È il caso dell’Albania. Il 6 maggio 2025 si è festeggiato il 602esimo anniversario della nascita di Gjergj Kastrioti, in italiano Giorgio Castriota, più comunemente noto come Skanderbeg o Skenderbeu, dal turco “Iskander bej”.

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Skanderbeg: dalle origini al mito

Gjergj Kastrioti veniva da una famiglia feudale importante e il padre Gjon Kastrioti (Giovanni) era il potente signore del distretto di Kruja ed alleato dell’allora Repubblica marinara di Venezia. Il padre Gjon, abile condottiero e soldato, prese parte nel 1389 alla battaglia della Piana dei Merli (Kosovo Polje), nell’odierno Kosovo, in quella che fu un’alleanza fra diverse entità territoriali balcaniche: serbi, bosniaci, ungheresi, albanesi contro l’Impero ottomano guidato dal sultano Murad I. Nonostante la morte del sultano, la coalizione balcanica subì una grave sconfitta e presto Gjon Kastrioti si ritrovò come vassallo di Murad II.

Ritratto di Giorgio Castriota Skanderberg (Wikimedia Commons)

Il tributo che Gjon dovette pagare per la resa fu molto alto: il sultano gli chiese di consegnargli i suoi quattro figli maschi, fra cui appunto Gjergj, futuro Skanderbeg. Il giovane Kastrioti crebbe cosi ad Adrianopoli (attuale Edirne) nella corte ottomana e lì fu addestrato alle armi fino a diventare comandante dei Giannizzeri, unità di fanteria turca e guardie del corpo del sultano.

Come in ogni storia di eroi che si rispetti, anche in quella di Skanderbeg giunge il momento della ribellione. Gjergj, diventato uno stimato condottiero ai servigi del sultano, decide di tradire gli ottomani e tornare nella sua Kruja, per creare un avamposto militare e contenere l’avanzata islamica.

Si racconta che

Skanderbeg si impadronì della roccaforte di Kruja con uno stratagemma. Arrivò con i suoi 300 fedelissimi cavalieri e si fece affidare il comando sostenendo che lo stesso sultano lo avesse designato a tale incarico. Skanderbeg prese subito il controllo del castello e ne fece il quartier generale dell’esercito albanese. Nel marzo del 1444 una grande assemblea di principi albanesi, radunata a Venezia, proclamò all’unanimità Skanderbeg come guida della Lega dei popoli albanesi.
Jemi-F.Bruno, Storia e leggenda di Giorgio Castriota ‘Skanderbeg’, 2006.

È quello che ci mostrano nel film “Skanderbeg l’eroe albanese” (Heroi Kombetar Skenderbeu), girato nel 1954 dal regista russo Sergej Iosifovič Jutkevič, realizzato grazie alla cooperazione fra Albania e Unione Sovietica.

Il film si apre con il piccolo Gjergj consegnato agli ottomani, ma non prima di un ultimo addio al padre, il quale gli intima di non dimenticarsi mai della propria terra natia e che, se mai ciò dovesse accadere, risponderà direttamente a lui, dovesse pur tornare dall’aldilà. Nelle scene successive vediamo direttamente uno Skanderbeg adulto e affascinante, che con le sue gesta e l’incredibile ars oratoria riesce a far riconciliare clan e fazioni in faida tra loro nell’allora Albania feudale, addirittura interrompendo un ciclo di Gjakmarrje, vendetta che prevede la morte di un membro del clan proprio o nemico per ristabilire l’onore della famiglia.

Per la sua abilità di condottiero, stratega e militare, Skanderbeg ricevette da papa Callisto III il titolo di Athleta Christi et Defensor Fidei (Atleta di Cristo e Difensore della Fede) e da papa Pio II l’appellativo “nuovo Alessandro” (in riferimento ad Alessandro Magno).

Come si può evincere, Skanderbeg non fu solo un abile condottiero e un leader albanese dall’ineguagliabile carisma. Castriota fu anche un importante alleato per la vicina – e cattolicissima – Italia, dimostrando (ancora una volta) quanto profonde e antiche siano le relazioni politiche e sociali fra i due paesi mediterranei.

Skanderbeg in Italia

Tra il 1459 e il 1462, Skanderbeg approfittò di un momento di tregua coi nemici turchi per approdare in Italia dando inizio alla spedizione militare italiana in aiuto dell’alleato Ferdinando I, Re di Napoli, contro l’avversario Giovanni D’Angiò.

Il modesto contingente albanese avrebbe fatto la differenza nelle battaglie di Ursara e Bari, permettendo a Ferdinando I di vincere contro i suoi rivali. Al termine delle battaglie, Kastrioti avrebbe ricevuto in dono Trani, Monte Gargano e San Giovanni Rotondo.

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Nel 1466 si recò nuovamente in Italia per cercare aiuto e sostegno bellico in vista di una nuova offensiva ottomana. La serenissima fu l’unica a concedere appoggio militare all’eroe albanese, inviando un contingente di circa 13mila uomini e una flotta sulle coste albanesi.

Solo due anni dopo, nel 1468, l’ingegnoso condottiero sarebbe morto a Lezhë (nota come Alessio in italiano) a causa di una febbre molto alta, nell’ormai vano tentativo di reclutare nuovi soldati per difendere la tanto agognata indipendenza.

La morte di Skanderbeg di Niko Progri (1982) nel Museo Skanderbeg nella cittadella di Kruja (Wikimedia Commons)

A distanza di 602 anni dalla presunta nascita, l’eroe Skanderbeg rimane la figura storica più importante per albanesi, kossovari di etnia albanese e comunità arbëreshe della diaspora. L’uomo, l’eroe, il patriota che più ha incarnato nella sua persona il motto tutt’ora ampiamente utilizzato, tratto da una poesia di Pashko Vasa:

Mos shikoni kisha o xhamia, feja e shqiptarit është shqiptaria

(Non guardare la chiesa o la moschea, la fede dell’albanese è l’albanesità).

E cosi, che stiate camminando per le strade della vertiginosa Tirana, della moderna Pristina o semplicemente per il piccolo comune di Piana degli albanesi, vi imbatterete prima o poi nella statua di un possente uomo a cavallo, nella mano destra una spada e sul capo un elmo caratterizzato da una protome caprino con lunghe corna. Colui che più di tutti ha saputo – e sa tutt’ora – riconciliare i caldi animi di albanesi, kossovari, arbëresh e italoalbanesi ovunque essi si trovino nel mondo.

* Nata in Albania, ma cresciuta in Italia, ha una laurea in Antropologia, religioni, civiltà orientali. Ha seguito corsi di formazione in documentaristica (Etnoschool di Padova) e giornalismo visuale (Irfoss Institute). Fa parte della rete “Balkan people in Italy” – network di giovani persone della diaspora balcanica. Ha pubblicato per Tamu Edizioni; Kosovo 2.0 (TwopointZero). Attualmente vive e lavora in America latina.

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