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La rivolta di Texel, l’ultima battaglia della Seconda guerra mondiale in Europa

Chi conosce la storia della rivolta di Texel o saprebbe indicare questo luogo sulla mappa geografica? Ce ne parla Davide Longo.

A poco più di un centinaio di chilometri a nord di Amsterdam, nei Paesi Bassi, sorge la piccola isola di Texel. Lunga meno di ventiquattro chilometri e larga poco più di nove, questo lembo di terra si erge come barriera naturale fra il mare del Nord e il mare dei Wadden. Texel è abitata da alcune decine di olandesi che si prendono cura del vecchio faro e ospitano un centro di ricerca scientifico internazionale.

Nulla farebbe pensare all’ignaro visitatore che l’isola gronda storia da ogni dove. Abitata da oltre diecimila anni, Texel fu infatti la base di partenza di due grandi spedizioni olandesi: il viaggio di Willem Schouten e Jacob Le Maire, che li portò a scoprire Capo Horn nel 1615, e nel 1628 la partenza della nave Batavia alla volta di Giacarta. Ma ciò che pochissimi sanno è che l’isola di Texel ebbe anche un ruolo da protagonista nella Seconda guerra mondiale, quando una Legione Georgiana di stanza a Texel si ribellò contro il dominio nazista, innescando una battaglia che durò dal 4 aprile al 20 maggio 1945, la cosiddetta rivolta di Texel.

Alle isole abbiamo dedicato la nostra ultima newsletter, trovate i pezzi qui.

La Legione Georgiana

Perché abbiamo parlato di una Legione Georgiana di stanza a Texel? Per capirlo dobbiamo calarci nel contesto storico dell’epoca e fare uno sforzo di immedesimazione: sebbene i fronti della Seconda guerra mondiale potrebbero a prima vista sembrare chiari, semplici da identificare – nazismo, fascismo e imperialismo giapponese da una parte, mondo libero dall’altra – in realtà come ogni epoca storica anche i sei anni fra il 1939 e il 1945 vivono di una profonda complessità che non dovremmo mai smettere di indagare.

Nel nostro caso specifico è bene sapere che la Germania nazista non operò soltanto, durante la guerra, con i propri soldati regolari. In ogni zona occupata i tedeschi si premurarono di arruolare reparti locali al fianco delle unità tedesche su tutti i molteplici fronti che si aprirono a partire dall’invasione della Polonia.

La prima modalità secondo la quale questo avvenne fu pescare nel torbido mondo del collaborazionismo: così ad esempio Leon Degrelle, estimatore belga di Hitler e fondatore del movimento ultracattolico detto rexismo, ebbe la possibilità di fondare la legione Wallonien, composta da nazisti belgi e francesi che combatterono prima in Unione Sovietica e poi sul fiume Oder. Allo stesso modo, nel novembre del 1944 i nazisti formarono la divisione Gömbös delle Waffen-SS, composta da ungheresi che combatterono per il nazismo sia contro gli statunitensi che contro i sovietici durante l’avanzata del 1945. Similmente vennero organizzati i collaborazionisti di molte altre nazionalità, dai polacchi agli ucraini, dagli italiani agli estoni, lettoni e lituani.

La seconda maniera con la quale i nazisti si assicurarono l’arruolamento di reparti ausiliari consistette nella cattura di prigionieri di guerra. A costoro veniva offerta una scelta: o finire nei lager nazisti, o combattere per la Germania. I protagonisti della nostra storia scelsero questa opzione: erano georgiani arruolati nell’esercito sovietico che vennero catturati in varie occasioni a partire dall’invasione dell’Urss da parte dei nazisti nell’agosto del 1941. Infatti, anche se le truppe tedesche non raggiunsero mai la Georgia sovietica, moltissimi georgiani erano stati arruolati nell’esercito sovietico ormai in rotta di fronte all’avanzata nazista, venendo catturati nelle fasi iniziali della guerra.

Nel dicembre del 1941 oramai migliaia di georgiani erano caduti in mano tedesca e soffrivano la fame e le violenze nei campi di prigionia nazisti. Così oltre 30mila di questi soldati sovietici, ormai prigionieri, si arruolarono nella Wermacht e formarono la Georgische Legion, o Legione Georgiana (kartuli legioni in georgiano).

La ‘legione ariana’ alleata dei partigiani

Da quel momento e fino al 1944 la Legione Georgiana venne impiegata dai nazisti sul fronte orientale, sia in scontri di secondaria importanza lungo la linea del fronte, sia in operazioni di guerra antipartigiana. Va specificato che i georgiani in generale e la legione in particolare furono inizialmente ben visti da Adolf Hitler. In generale, infatti, il regime considerava i georgiani come un’unità etnica non slava, ma anzi discendente dai tedeschi stanziatisi in oriente e, dunque, ariana.

In altre parole, i georgiani erano considerati i più stretti parenti caucasici dei tedeschi e dunque vennero considerati, almeno all’inizio, come unità militari degne della massima fiducia.

Mai giudizio fu più lontano dalla realtà. Sin dall’atto della propria fondazione si moltiplicarono i casi di defezione dalla legione. I più si diedero alla macchia per provare a tornare a casa, sfuggendo sia alle squadre punitive naziste sia al sistema sovietico, che li avrebbe reintegrati nell’esercito. Tuttavia, una larga minoranza dei disertori andò ad ingrossare le fila dei partigiani.

Valga per tutti l’esempio di Pore Mosulishvili, georgiano arruolato nell’esercito sovietico durante la Seconda Guerra Mondiale: catturato durante l’invasione dell’Urss, Mosulishvili venne inviato con un gruppo di alcune decine di georgiani in Valsesia a costituire una compagnia dell’esercito tedesco con compiti di guerriglia antipartigiana. Nel 1943 Pore Mosulishvili prese contatto con la 118esima Brigata Garibaldi, operante nella zona, e insieme ad altri 36 militari georgiani passò dalla parte della Resistenza, partecipando a numerose azioni fra cui la difesa della Repubblica Partigiana dell’Ossola.

L’epopea dei georgiani finì il 2 dicembre 1944: il gruppo di Mosulishvili, che consisteva in otto georgiani e altrettanti partigiani italiani, venne bloccato da decine di tedeschi in una baita a Lesa, sopra il Lago Maggiore. I tedeschi intimarono la resa del gruppo, che fino a quel momento aveva venduto cara la pelle rimanendo a corto di munizioni, e promisero di salvare la vita di tutti i combattenti se avessero consegnato il comandante.

A quel punto Mosulishvili uscì dalla baita e, dopo aver dichiarato di essere il comandante, si sparò in testa con l’ultima pallottola rimasta, sacrificando la propria vita ma salvando quella dei compagni, che vennero condotti nei campi di concentramento nazisti. L’esempio di Mosulishvili e dei suoi commilitoni è solo una minuscola porzione della storia delle migliaia di georgiani che si unirono alla resistenza europea, soprattutto in Italia e in Francia. Questo di certo non contribuì a rendere affidabili i georgiani agli occhi dei nazisti.

Inoltre, vennero ritenute inaffidabili dai tedeschi anche quelle figure che non ebbero rapporti con la resistenza: è il caso di Shalva Maglakelidze, noto comandante delle armate bianche sovietiche durante la guerra civile russa del 1919-1921 e primo comandante della Legione Georgiana nella Seconda Guerra Mondiale.

Maglakelidze, pur sostenendo lo sforzo bellico tedesco e non avendo alcuna simpatia per la resistenza, in particolar modo per quella di matrice socialista e comunista, protestò con il comando tedesco perché in disaccordo con l’utilizzo dei georgiani contro altri nemici che non fossero i sovietici, nell’ottica nazionalista della riconquista della Georgia. Per questo venne destituito e inviato dai tedeschi sul mar Baltico e, al termine della guerra, venne brevemente imprigionato dai sovietici, che poi gli permisero di vivere a Tbilisi esercitando la professione di avvocato.

L’ultima battaglia d’Europa: la rivolta di Texel

Come abbiamo visto, dunque, i georgiani vennero ritenuti ben presto inaffidabili dai tedeschi, nonostante i numerosi collaboratori georgiani dei gerarchi nazisti: è noto, fra gli altri, il rapporto fra Alfred Rosemberg, ideologo dell’antisemitismo nazista, e i georgiani Alexander Nikuradze, fisico di sicura fama, e Michael Achmeteli, studioso di agricoltura sovietica. Dunque, la Legione Georgiana venne trasferita alla fine del 1944 in un teatro tutto sommato tranquillo dello scacchiere bellico europeo: l’isola di Texel, appunto, nei Paesi Bassi occupati dai nazisti.

Anche qui, però, i georgiani non stettero con le mani in mano. Pur essendo circa ottocento miliziani a fronte di oltre 2mila tedeschi, in quella che era uno degli snodi fondamentali del cosiddetto Vallo Atlantico, per alcuni mesi si prepararono in silenzio sotto la guida del loro nuovo comandante Shalva Loladze. Infine, la notte fra il 4 e il 5 aprile 1945, avendo ricevuto la notizia dell’avvicinamento delle truppe canadesi all’isola, i georgiani tentarono il colpo di mano.

Oltre quattrocento militari tedeschi vennero uccisi nel corso di una notte, per lo più nel sonno, e la Legione Georgiana prese il controllo della parte sud dell’isola: tuttavia gli uomini di Loladze non riuscirono a catturare le batterie antiaeree e il porto nel nord di Texel, che rimasero in mano nazista. In pochi giorni i tedeschi passarono al contrattacco e scatenarono una vera e propria nuova invasione dell’isola con mezzi corazzati e ampio uso dell’aviazione. Iniziò un massacro casa per casa, strada per strada, nel quale perirono circa cinquecento georgiani e un numero di poco inferiore di tedeschi. La popolazione olandese aiutò attivamente i militari della legione, che vennero anche affiancati dalla resistenza olandese. I tedeschi, per rappresaglia, distrussero buona parte delle fattorie dell’isola, massacrando circa centoventi abitanti del posto.

Il massacro continuò ben oltre il suicidio di Hitler nel bunker di Berlino e la resa tedesca, avvenuta il 5 maggio: ancora il 20 maggio, infatti, i tedeschi – impegnati nel massacro di olandesi e georgiani, che continuarono a vendere cara la pelle – vennero sorpresi dall’avanzata dei canadesi che pacificarono l’isola e catturarono altri millecinquecento soldati della Wermacht.

Un resoconto romanzato della rivolta di Texel si trova in L’ottava vita (per Brilka) di Nino Haratischwili, ne abbiamo scritto qui.

La rivolta di Texel, una memoria complessa

Subito dopo la fine della guerra la rivolta di Texel, che a buon diritto può essere definita l’ultima battaglia dell’Europa occupata dal nazismo, cadde in un parziale oblio, condito dal disinteresse delle principali potenze emergenti nello scacchiere internazionale: da un lato gli Stati Uniti non avevano alcun interesse a celebrare degli ex soldati sovietici che combatterono sul terreno in Europa occidentale, caduta oramai sotto la sfera d’influenza americana. Ma anche i sovietici non videro per lungo tempo di buon occhio i georgiani che morirono sull’isola di Texel, poiché in fondo si trattava di prigionieri sovietici che per un periodo, e nonostante la loro travagliata storia, avevano accettato di servire nell’esercito nazista per sfuggire alla morte nei campi di concentramento e sterminio.

La morte di Shalva Loladze durante la rivolta, inoltre, fece perdere ai georgiani un punto di riferimento autorevole che avrebbe potuto portare avanti in qualche modo la memoria della Legione e della sua lotta antinazista. I morti georgiani vennero seppelliti in un cimitero vicino, e la loro memoria venne mantenuta viva dal Partito Comunista olandese, che organizzò non solo la gestione del cimitero militare ma anche una cerimonia annuale di commemorazione della rivolta.

I 228 sopravvissuti georgiani vennero presi in consegna dai canadesi e poi vennero ceduti in qualità di prigionieri allo SMERŠ (acronimo di SMERt’ Špionam, russo: СМЕРть Шпионам, “morte alle spie”), il servizio di controspionaggio sovietico: 26 di loro, i più alti di rango, vennero espulsi dall’Urss insieme alle loro famiglie, mentre molti altri vennero inviati nel GULag.

Negli anni Cinquanta, nel corso della destalinizzazione, ai sopravvissuti fu permesso di tornare in Georgia e di ricongiungersi alle proprie famiglie, e in Urss vennero prodotti anche vari documentari sulla figura di Loladze e di altri georgiani che, pur avendo indossato i panni del nemico, passarono ben presto alla resistenza.

Tuttavia, in questi documentari i sovietici tratteggiarono i rivoltosi di Texel non come membri dell’esercito tedesco, ma come semplici prigionieri di guerra che in qualche modo riuscirono a disarmare i nazisti e a combatterli. Fino al 1990, peraltro, l’ambasciatore sovietico in Olanda partecipò all’annuale commemorazione della Rivolta, chiamando sempre i georgiani “Eroi dell’Unione Sovietica”. Il 6 agosto 2021, Grisha Baindurashvili, l’ultimo dei sopravvissuti dei rivoltosi di Texel, è morto all’età di 102 anni nel villaggio di Kaspi, a una quarantina di chilometri da Tbilisi.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica la commemorazione dei rivoltosi di Texel non migliorò, poiché le autorità della nuova repubblica di Georgia mal tollerarono di dover celebrare quelli che venivano oramai ricordati più che altro come membri dell’esercito sovietico.

La prima visita di un presidente georgiano, Mikheil Saakashvili, avvenne in sordina solo nel 2005 e venne gestita come una occasione privata, dovuta più che altro alla nazionalità olandese della moglie del premier. Ancora oggi, in generale, una certa coltre di silenzio grava sulle migliaia di membri dell’esercito tedesco che decisero, a un certo punto della propria esperienza, di passare dalla parte della resistenza europea.

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Davide Longo
Davide Longo

Nato nel 1992, vive e lavora a Varese. Laureato in Scienze Storiche all’Università degli Studi di Milano, ha studiato lingua e cultura cinese e trascorso un periodo di studio all’Università di HangZhou, Zhejiang, Repubblica Popolare Cinese. Oggi è docente di lettere nella scuola secondaria. Appassionato di storia e politica sia dell’Estremo Oriente, sia dei Paesi dell’ex blocco orientale, ha scritto per The Vision e Il Caffé Geopolitico ed è autore di due romanzi noir: Il corpo del gatto (Leucotea, 2017) e Un nido di vespe (Fratelli Frilli, 2019). È redattore di Scacchiere Storico, associazione di ricerca e divulgazione storica nata nel 2020.