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“La città senza derby”, un viaggio nel calcio di Berlino. Intervista all’autore

Una città che nel calcio non vince un titolo della Germania unita o riunificata da 84 anni. Nessuna capitale europea ha vissuto un digiuno più lungo. Berlino però è una metropoli in cui si respira Fussball in ogni angolo, in ogni quartiere. Lì Damiano Benzoni, comasco, giornalista, fotografo e videomaker è andato a scovare storie, luoghi e personaggi e li ha raccolti in La Città senza derby, edito da Urbone Publishing. Abbiamo parlato con lui del suo lavoro

Come è nata l’idea di un libro che raccontasse storie di calcio a Berlino?

Quando nel 2019 mi sono trasferito nella capitale tedesca mi sono quasi subito accorto che Berlino aveva una scena calcistica con tante storie varie e particolari, che non riscontravo nel panorama dilettantistico lombardo o almeno non in questa misura. Già in quel momento mi era venuta una mezza idea di esplorarle.

Lo stadio dell’Hertha (Meridiano 13/Damiano Benzoni)

Poi quando ho iniziato a frequentare la scena calcistica di Berlino l’ho fatto con la scusa di fotografare: è stato utile perché mi ha dato una prospettiva privilegiata, stavo spesso a bordo campo e mi dava occasione di conoscere le storie. Pubblicare foto poi mi ha messo in contatto con persone che a loro volta me ne hanno raccontate altre. Ho deciso di pubblicare perché mi sono accorto di avere tanto materiale e anche perché, dal punto di vista personale, è stato come chiudere un cerchio.

La Città senza derby è stato un viaggio tra persone, luoghi, squadre. Che cosa ti è rimasto più nel cuore?

Come dicevo questo libro ha molto di personale, molto di legato alla mia esperienza. Per risponderti ti parlo di un episodio. Il Como, la squadra della mia città, era appena stato promosso in Serie A. Sentivo un po’ di nostalgia e di rammarico per non esserci stato. Vado a vedere il Babelsberg (club di Regionalliga Nordost, la quarta serie n.d.R) e prima dell’inizio sento nello stadio suonare Pulenta e Galena Fregia, una canzone di Davide van de Sfroos, che è l’inno del Como ma soprattutto una canzone che mi riporta alla mia adolescenza e che mi fa sentire a casa.

Mi commuovo fino alle lacrime. Vado a cercare il DJ del Babelsberg, ci abbracciamo, ma non riesco a scoprire il perché di quella canzone. Scoprirò solo dopo la pubblicazione del libro che tutto è nato da una promessa. Il giorno della promozione del Como c’erano dei tifosi del Babelsberg che hanno promesso a dei tifosi locali che avrebbero fatto suonare Pulenta e Galena Fregia allo stadio del Babelsberg. E così è stato fatto. Pochi giorni fa mi hanno mandato un vocale del DJ del Babelsberg che raccontava il nostro incontro e la mia commozione. E diceva “È per questo che facciamo questa m…”.

L’episodio più divertente?

Penso sia sicuramente una partita di Coppa di Berlino tra Lok Schöneweide e l’Hertha Zehlendorf. La Lok, la squadra dei ferrovieri di Schöneweide, gioca su un campo sgangherato, con i plexiglas delle panchine rotte, una gru arrugginita che teneva un’unica luce, i pali delle porte che rischiavano di cadere se toccati. In questa cornice, dove c’è invece una bella club house con un modellino del campo, c’erano venti tifosi locali disinteressati. Solo che io sentivo continuamente dei tamburi e non capivo da dove venisse il suono. Ho scoperto che erano i tifosi dello Stralsund in trasferta ma non per la squadra di calcio, ma per quella di bowling che affrontava la locale sezione dell’Herta nello stesso complesso sportivo.

I campi più belli e particolari?

Ce ne sono tantissimi a Berlino soprattutto perché ci sono dei bei sfondi, per esempio i mulini a vento, le torri dell’aeroporto. Il mio stadio preferito è il Karl-Liebknecht di Babelsberg, con i suoi pali pieghevoli perché lì vicino c’è un parco patrimonio dell’Unesco, però quello più particolare è quello di Wilmersdorf. Era stato progettato in grande, 50mila posti, perché lì per un periodo ha giocato il BSV 92 che era a discreto livello, ma che al massimo è arrivato a contenere 20mila spettatori. Ora gran parte delle tribune sono state reclamate dalla natura e infatti in una di quelle c’è un vigneto, coltivato, da cui il distretto di Wilmersdorf ricava un vino che viene utilizzato per degli omaggi.

Quale esperienza calcistica consiglieresti per chi va a Berlino?

Il bello di Berlino che ci sono partite in tutto il week end e così è possibile vedere in un fine settimana due o tre partite, accoppiando ad esempio un match dell’Hertha, cioè una squadra professionistica e di alto livello, e una qualsiasi delle realtà dilettantistiche. Se volessi consigliare un’esperienza particolare consiglierei partite di squadre di medio livello come Tennis Borussia Berlino, Tasmania Berlino, Polar Pinguin, che hanno delle tifoserie calde ma contenute nei numeri.

Sono passati 35 anni dalla caduta del Muro. Questa divisione si vede ancora e anche nel calcio?

La divisione si sente ancora ed è più complicata di quanto venga descritta. Non si può semplicemente dire che da una parte c’è l’estrema destra e dall’altra parte no. Non è vero e anche sulla presenza dell’estrema destra bisogna anche ragionare sulle cause e andare più in profondità. La divisione si sente nel calcio e soprattutto in alcune squadre che sembrano essere rimaste indietro, voler rimandare quell’epoca, ad esempio la Dynamo Berlino. C’è quel sentimento di aver perso qualcosa, quell’Ostalgie, ma non nel senso classico, più un sentimento di mancanza di quello che era e di essere stati espropriati da alcuni aspetti delle proprie vite.

Un’esultanza (Meridiano 13/Damiano Benzoni)
Dopo un centinaio di partite viste come definiresti il calcio di Berlino?

In verità credo averne viste una novantina e posso dire che il movimento calcistico è locale, ricco di identità, ma anche molto sgangherato. Riflette in pieno Berlino, una città piena di sogni, anche vanagloriosi, anche estremamente ambiziosi, ma anche piena di fallimenti veramente spettacolari e questo si riflette nella storia di diverse squadre berlinesi.

C’è qualcosa oltre il Meridiano 13 nel calcio berlinese?

Assolutamente. Ci sono tante squadre che hanno radici soprattutto nei Balcani, ma c’è anche il Polonia. A Berlino ci sono tanti club che hanno origini migratorie, la maggior parte fanno capo alla comunità turca (circa una decina) e poi tante squadre balcaniche, come il Bosna, il Novi Pazar, il Liria che ha origini kosovare, il Croatia. Con loro in particolare ho avuto molti contatti perché vivevo non tanto lontano dal loro campo da gioco, li ho incrociati più volte.

Il Croatia è una realtà nata con quel nome prima della dissoluzione della Jugoslavia e che dovette cambiare nome visto che nella Jugoliga, un campionato dove giocavano squadre fondate da migranti balcanici, il riferimento nazionalistico non era stato ben digerito. È una squadra che ha avuto tanti corsi e ricorsi, è in sesta divisione, la massima serie cittadina, ha una bella identità e una bella storia, in cui si vede quanto è forte il legame con la madrepatria. 

(Meridiano 13/Damiano Benzoni)
C’è qualche storia che è rimasta fuori e che ti sarebbe piaciuto raccontare?

Tante storie non sono entrate nel libro, per questioni di tempo: per esempio sono successe dopo la mia partenza e ho scelto in maniera deliberata di scrivere solo di squadre che ho visto con i miei occhi. Mi sarebbe piaciuto vivere l’ultima partita al Ludwig Jahn Sportpark, uno stadio iconico della Germania Est dove la Dinamo Berlino disputava le sue partite europee, uno stadio simbolo per il calcio dilettantistico berlinese. Quando è stato demolito, non senza polemiche, i tifosi potevano andare a smontarsi uno o due seggiolini. Io, anche se non li ho ora fisicamente in mano, ne possiedo due.

Un’altra storia che avrei voluto scrivere è quella della partita tra Dynamo Berlino e Delay Sports, una squadra di youtuber, molto legata al mondo dei social e con tifosi giovani. Il fatto che giocassero contro un club di grande tradizione con ancora un contesto di tifo organizzato molto forte e anche molto difficile era particolare. Questa sfida, ribattezzata da qualcuno ironicamente “Stasi contro tiktoker”, rappresenta bene certi scontri culturali che si vedono nel calcio berlinese e mi sarebbe piaciuto vederla. 

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Roberto Brambilla
Roberto Brambilla

Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.