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Joanna Elmy: “Quasi un decennio fa ho lasciato la Bulgaria. Cos’è cambiato?”

In concomitanza con le elezioni del Parlamento europeo, il 9 giugno i cittadini bulgari sono stati chiamati alle urne per la sesta volta in tre anni, dopo il naufragio del governo in cui l’alleanza liberale tra i progressisti “Continuiamo il cambiamento” (PP) e Bulgaria Democatica (DB) si sarebbe dovuta alternare ogni nove mesi con il partito conservatore GERB, guidato dal premier uscente (dal 2021) Boyko Borisov. A inizio marzo quest’ultimo ha infatti rifiutato qualsiasi tipo di compromesso per far proseguire l’esecutivo, insistendo per un rimpasto, a cui PP-DB si è opposta.

Le nuove consultazioni hanno segnato un calo del 6% dell’affluenza, ferma al minimo storico del 34,41%, e la vittoria di GERB con il 27,4% delle preferenze. Segue, in crescita, il “Movimento per i diritti e la libertà” (DPS) con il 17% e PP-DB ferma al 14,33%. A superare la soglia di sbarramento ci sono anche il partito nazionalista e filorusso Văzraždane (“Rinascimento”), in netta ascesa con il 13,78%, i socialisti (BSP) crollati al 7,6%, la formazione dello showman Slavi Trifonov “C'è un popolo così” con il 5,96% e il nuovo partito estremista Veličie (“Maestà”) con il 4,65%.

Oltre all’astensionismo sempre più alto e alla mancanza di una maggioranza definita, a preoccupare è anche il ruolo che potrebbe ricoprire l’oligarca ed ex magnate dei media Delyan Peevski, attualmente a capo del DPS, sanzionato dal Magnitsky Act da Inghilterra e Stati uniti per corruzione, abuso d’ufficio e peculato. Dal 2009 è membro del parlamento bulgaro.

Proponiamo di seguito la traduzione della nuova riflessione post-elettorale firmata da Joanna Elmy, scrittrice e giornalista bulgara, apparso sulla sezione bulgara di Deutsche Welle lo scorso 16 giugno. 

Un anno fa è trascorso un decennio da quando ho lasciato la Bulgaria. Ho raggiunto la maggiore età nel 2013, anno d’inizio ufficiale della società democratica in Bulgaria come la conosciamo: le proteste contro la nomina di Delyan Peevski a capo del DANS [l’Agenzia statale per la sicurezza nazionale, N.d.T.] o #DANSwithme. Ho riflettuto su come sia maturata la nostra generazione e cosa è cambiato quasi vent’anni dopo, quando il nome di Peevski in assoluta tranquillità viene declinato in titoli di giornali accanto a speculazioni sulla carica da primo ministro. E quando il partito che ha guidato la Bulgaria nella maggior parte della mia vita da elettrice, di nuovo torna (e viene fatto tornare) al potere.

Spesso parlo con i giovani in Bulgaria. Stanno sulla soglia della vita così come ci siamo stati anche noi: con gli appelli delle persone vicine a “scappare” e “cercare la propria fortuna” fuori, al limite “almeno studiare fuori” perché in Bulgaria “non cambierà mai niente” e “da questo paese non viene fuori nulla di buono”. Quando sono ospite nelle scuole e faccio la domanda “chi vuole andare a studiare all’estero” la maggioranza degli alunni alza la mano. E viceversa, quasi sempre mi chiedono se una persona deve partire oppure rimanere; come si vive fuori; cosa significa essere lontano.

Gli insegnanti spesso mi avvertono, con notevole disagio, che le presidi non amano che si parli di politica. I genitori neanche. Evidentemente l’ordinamento sociale da cui dipende la nostra vita è un terreno proibito per i giovani, così come lo era anche per noi. Ma sempre come noi anche loro riescono a ottenere informazioni su ciò che gli interessa: spesso dalle fonti più inaffidabili, spesso non verificate, spesso al servizio di questa o quella ideologia del periodo. Non a caso i giovani in Bulgaria vivono in un universo speculare di valori, come ha dimostrato una recente ricerca.

Ogni mondo ha i suoi problemi

Allo stesso tempo l’Occidente, dove eravamo stati spediti a fare fortuna, alla ricerca di democrazia, libertà e, ovviamente, soldi, è del tutto differente dal posto che sognavano i nostri genitori dietro le loro cortine di ferro. Pare che ogni mondo abbia i suoi problemi.

E mentre le nostre generazioni precedenti, o perlomeno una ragionevole parte di esse, hanno ancora memoria delle ferite della dittatura e della Guerra fredda, con ferocia difendono la democrazia come la migliore, anche se non perfetta forma di governo, molti giovani in Europa e negli Usa vivono peggio dei propri genitori, trovandosi ad affrontare una serie di sfide, una crisi senza precedenti, un pianeta in fiamme e, per dirla alla Gospodinov, un deficit di futuro.

Alle elezioni del Parlamento europeo questo mese il partito di estrema destra Alternative für Deutschland gode di maggior sostegno tra i più giovani. La statistica ci dice che il sostenitore tipo di una formazione di estrema destra in Europa è molto probabilmente un giovane uomo tra i 18 e i 24 anni.

La concezione tradizionale di democrazia, che abbiamo ereditato dai nostri genitori – da loro i soldi, da noi la presenza – ha deluso un’intera generazione che ha trasferito la propria vita fuori dai limiti della madrepatria solo e soltanto per scontrarsi con le stesse difficoltà al posto dell’utopia promessa. Poiché il totalitarismo tiene appositamente gli eroi e gli ideali nel libro dei cantici, senza permettere la loro comparsa nel mondo reale, formule come “sovranità della legge”, “libertà”, “responsabilità” e “аttivismo civico” non sono riuscite a trasformarsi automaticamente in educazione, rimanendo valori “liberali” che non si mangiano.

A ciò ha contribuito anche la crescente nell’ultimo decennio propaganda antiliberale russa. La delusione che la libertà non arriva come un dono, insieme alla mancanza di solide tradizioni democratiche e rivoluzione tecnologica ha dato vita a partiti come “Diritto e giustizia” (PiS) e oligarchi come Viktor Orbán, che combinano dispotismo post-socialista e populismo moderno, tutto in euro, ovviamente, nonostante la “cattiva” Europa.

Borisov sarebbe stato un po’ meno possibile senza Merkel

Ma questo non accade soltanto in Bulgaria né soltanto in Europa orientale. E non sono solo i giovani a dimenticare che la democrazia non è garantita ma si costruisce dignitosamente, giorno dopo giorno. Borisov sarebbe stato un po’ meno possibile senza Merkel, Von der Leyen e Manfred Weber, partiti come GERB – senza le macchinazioni politiche del PPE, che gli esperti chiamano “partito dei baroni” a Bruxelles.

Anche la transazione non è unilaterale: bollare l’Europa orientale come periferia, zona di conflitti eternamente possibili oppure cuscinetto tra la “vera” Europa e la Russia, è concezione di un’intera generazione di politici occidentali. Questo porta alla politica di stabilità a ogni costo, anche se il costo è l’appropriazione di miliardi di euro da parte delle strutture mafiose.

In aggiunta l’Ue è soprattutto un progetto economico, però l’economia del XXI secolo ha un volto sempre più brutto. L’ascesa della Germania negli ultimi 20 anni sarebbe stata impossibile senza la manodopera a basso costo dall’Europa orientale, ad esempio, come scrive Timothy Garton Ash in uno dei suoi ultimi saggi.

L’economia mondiale costruisce nuove frontiere

Siamo maturati in un mondo di frontiere labili e grazie a questo negli ultimi due decenni è cambiato il modo di comunicare e informare (sono nata nel 1995, considerato come l’anno di nascita di internet).

L’Europa ha modificato le sue frontiere geografiche, ma l’economia mondiale di cui è parte ne costruisce di nuove, sociali: che importanza ha per un europeo di qualsiasi provincia il fatto di poter viaggiare per tutta Europa, se non può permettersi di avere un’abitazione o di muoversi?

Che importanza ha la progressiva legislazione europea per un lavoratore se il suo datore di lavoro esporta la produzione oltre le frontiere nazionali, dov’è più economico, oppure assolda illegalmente migranti perché così non è costretto a pagare contributi e stipendi alti? Con chi è in debito l’Europa per la prosperità in cui ancora vive la sua popolazione a confronto con altre parti del mondo – chi e dove nel “terzo mondo” paga il prezzo di questa prosperità?

Due correnti nate come tentativo di dare una risposta a queste domande nell’ultimo decennio, destra alternativa e neomarxismo, sono la prova che tutto accade una prima volta come storia e una seconda come parodia. Invece di indicare problemi e soluzioni veniamo intrecciati in infiniti “conflitti culturali” che trasformano i processi democratici in esercizi di pseudoetica e pseudomorale, senza indagare questioni concrete.

La Bulgaria è il riflesso di tutto ciò: Borisov ci difende dai comunisti, Kornelija [Ninova, del BSP, N.d.T.] ci protegge dal “gender”, i partiti di estrema destra Văzraždane (“Rinascimento”) e Veličie (“Maestà”) proteggono i valori tradizionali, mentre PP-DB non sono come gli altri e promettono che gli anni Ottanta di Usa e Inghilterra avverranno finalmente in Bulgaria; nel frattempo l’intero mondo a pezzi si chiede come affrontare le conseguenze delle loro stesse politiche economiche e sociali.

I media controllati privano della possibilità di scelta consapevole

E in fin dei conti come siamo maturati? Cos’è di concreto che manca oltre le etichette e gli status su Facebook? Viene subito in mente la tanto agognata riforma dell’istruzione. Dalla scuola dell’obbligo in poi i giovani si scontrano con la stessa assenza di pensiero con cui ci siamo scontrati anche noi.

E se tutti i giovani del mondo sono impreparati al futuro, allora il contrasto tra questi e i giovani in Bulgaria è evidente, sia nell’osservazione soggettiva, sia nei risultati dell’ennesima indagine sul tema (e no, le olimpiadi di fisica non contano, a meno che non diventiamo un paese di fisici). I media controllati nell’ultimo decennio privano della possibilità di scelta consapevole, mentre la mancanza di contenuti mediatici di qualità conduce al catatonico abbassamento culturale, reality dopo reality. La povertà, l’ingiustizia e la corruzione producono e continueranno a produrre ogni tipo di radicalismo. E questo è solo lo strato superficiale.

La speranza è una politica di prospettiva verso il futuro. Di riforme lì dov’è più importante: istruzione, media, sanità. Una politica di prospettiva oltre le città, dove i benefici del nostro percorso europeo si sentono di più, di comprensione verso la provincia, dove può essere raccontata anche questa storia. Una politica senza condanna, disprezzo e polarizzazioni aggiuntive. Una politica sociale, rivolta ai giovani e agli “abbandonati”. Una politica non di slogan e ideologie, ma di problemi concreti. Una politica che appare sempre più impossibile, mentre lentamente ci trasformiamo nei nostri genitori. Di parole diventate abitudine nazionale: un’altra occasione ancora sprecata, altri dieci anni sono passati; non riesco a credere sia passato tanto tempo.


Traduzione a cura di Giorgia Spadoni

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Redazione
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