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Nel territorio della Federazione Russa, che abbraccia ben due continenti, vivono e convivono numerosi gruppi etnici e popoli indigeni, ognuno dei quali vanta una propria storia e un ricco patrimonio culturale che insieme contribuiscono alla diversità di questo paese. Nell’estremo nord siberiano troviamo la Jacuzia, una regione vastissima ricoperta da foreste di taiga e tundra, dove anche un esploratore esperto può perdersi.
I russi chiamano gli abitanti di questa regione jacuti, ma il loro antico nome è sacha (plurale: sachalar), che in lingua jacuta significa “bianco”, “solare”. Il sole è infatti uno dei principali simboli della cultura nazionale sacha ed è persino raffigurato sulla bandiera repubblicana come un cerchio bianco.
Dalle scoperte paleolitiche allo Stato russo
Nonostante sia nota per il suo clima rigido, caratterizzato da inverni lunghi ed estati brevi, gli archeologi hanno stabilito che l’uomo si è insediato in questa regione fin dall’inizio del Paleolitico. A quell’epoca risalgono infatti i primi reperti archeologici, datati tra i 300mila e i 3 milioni di anni fa: il più noto e studiato è il sito di Diring-Jurijach, situato lungo il fiume Lena, a circa 200 chilometri dalla città-capitale di Jakutsk (in jakuto D’okuuskaj) e scoperto nel 1982 dall’archeologo Jurij Močanov – chiamato anche “il samurai dell’archeologia jacuta” in quanto è sempre stato capace di difendere gli interessi e l’importanza di questi luoghi estremi.
Fu, però, solamente all’inizio del Seicento che gli esploratori cosacchi raggiunsero le rive del fiume Lena: nel 1632 fu fondata la città di Jakutsk, che divenne poi la capitale dell’odierna Repubblica di Sacha. Questa data è considerata quella dell’ingresso del territorio jacuto nello Stato russo. Nel 1638 si formò il distretto jacuto (uezd), che nel 1775 divenne provincia e nel 1784 oblast’ del governatorato di Irkutsk. La cristianizzazione di massa dei nativi della regione avvenne nel XVIII secolo.
Gli anni che precedettero la formazione dell’Unione Sovietica furono turbolenti per la Jacuzia. Durante il periodo della guerra civile russa del 1917 la regione si dichiarò indipendente sia dalla Russia che dalla Repubblica di Siberia, in alleanza con lo Stato cosacco di Transbajkalia, la Buriazia, e l’Ucraina Verde. La rivolta jakuta venne soffocata solo nel 1923, in seguito alla creazione il 27 aprile 1922 della Repubblica Autonoma Socialista Sovietica della Jacuzia.
Il periodo sovietico è tutt’ora associato all’industrializzazione su larga scala delle ricchezze naturali del territorio, iniziata negli anni Venti con lo sviluppo dei giacimenti auriferi di Aldan, insediamento fondato nel 1923 con il nome di Nezametnyj (che in russo significa ‘anonimo’, ‘impercettibile’) poi diventato città nel 1939. Negli anni ‘30 cominciò anche lo sfruttamento della rotta artica (Severnyj morskoj put’) con la costruzione del porto di Tiksi, che negli anni Cinquanta si è ampliato grazie alla scoperta di giacimenti di diamanti e che tuttora rimane il porto più settentrionale della Russia: viene appunto chiamato “la porta sul mare della Jacuzia” (morskie vorota Jakutii). In lingua jakuta Tiksi significa “laguna, luogo di incontro”.
La Jacuzia e lo status di repubblica autonoma nella Federazione Russa
Una nuova fase della storia della Jacuzia ebbe inizio con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il 6 agosto 1990, infatti, il presidente del Soviet Supremo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, Boris El’cin, durante il suo discorso a Kazan’, capitale del Tatarstan, pronunciò la leggendaria frase: “Prendete tutta la sovranità che potete trangugiare”. Le repubbliche autonome interpretarono queste sue parole come una guida all’azione e, mentre il 30 agosto la Repubblica del Tatarstan dichiarò la propria sovranità, il mese dopo l’esempio dei tatari fu seguito dai jacuti: il 27 settembre 1990 venne proclamata la Dichiarazione di Sovranità della Jacuzia con il sostegno attivo della popolazione e nel dicembre 1991 Michail Nikolaev divenne il primo presidente della Repubblica di Sacha (Jacuzia) con il 76,7% dei voti.
“Provate a immaginare: all’interno dell’Unione Sovietica “rinnovata”, la Federazione Russa avrebbe avuto lo stesso status e gli stessi diritti, ad esempio, del Tatarstan, della Baschiria, della Jacuzia, della Calmucchia, della Mordovia e di altre 11 autonomie, mentre la Russia stessa avrebbe perso una parte enorme del suo territorio e della sua economia. Naturalmente, uno Stato russo unificato in queste condizioni cesserebbe semplicemente di esistere. È proprio per questo che El’cin ha offerto alle autonomie un compromesso: prendetevi tutta la sovranità che riuscite, ma rimanete parte della Federazione Russa”, riassume il vicedirettore della Fondazione El’cin, Evgenij Volk.
Il 4 aprile 1992 la Jacuzia adottò anche la propria costituzione, che definiva la Repubblica di Sacha come “uno Stato sovrano, democratico e legale basato sul diritto del popolo all’autodeterminazione”. La costituzione dava al presidente il diritto di formare un proprio esercito e al governo locale di amministrare in modo indipendente le risorse situate sul territorio, una parte del quale era chiuso agli altri residenti della Federazione Russa (l’area totale delle zone vietate era di 1,33 milioni di chilometri quadrati e la violazione del regime dei visti comportava una multa salatissima e l’espulsione dal territorio).
Il 30 maggio 2000, Vladimir Putin propose ai leader regionali di riconsiderare la divisione dei poteri tra la Russia e i soggetti federali. Emersero così le prime contraddizioni: la metà degli articoli della costituzione jacuta erano incoerenti con la legge fondamentale della Russia. La principale rivendicazione del governo federale nei confronti della repubblica era la proprietà delle risorse naturali. La diatriba tra Mosca e Jakutsk continuò per diversi anni, con il centro federale che insisteva affinché la Jacuzia eliminasse gli articoli sulla sovranità dalla costituzione. Nel giugno 2009, la Corte costituzionale russa riuscì nel suo intento.
La lingua jacuta
In Russia, esistono oltre 250 idiomi diversi, molti dei quali sono oggi in via di estinzione principalmente a causa della carenza di parlanti. Non è tuttavia il caso, ad esempio, dei tatari, dei baschiri, dei ciuvasci e degli jacuti, tutti popoli che riescono a mantenere in vita la loro lingua e a garantirle se non una prosperità, quanto meno la sopravvivenza a medio termine.
La lingua jacuta, chiamata sacha dai suoi parlanti nativi, è una lingua altaica appartenente al ceppo linguistico turco (lingue turciche) e diffusa tra la minoranza etnica degli jacuti, popolo indigeno russo che abita la Repubblica di Sacha (o Jacuzia). La lingua sacha ha cominciato a svilupparsi nel XV-XVI secolo, quando in questi territori nord-siberiani si installò la popolazione jacuta, i cui antenati appartenevano alla tribù turca dei Kurikan, i quali abitavano i territori tra il lago Bajkal e il fiume Angara.
Insieme al russo, la lingua jacuta è oggi la lingua ufficiale della Repubblica di Sacha ed è parlata da più di 450 mila persone. È ampiamente usata come lingua franca anche da altre minoranze etniche della Repubblica di Sacha, tra cui gli evenki, i čukči e i dolgani. Durante l’ultimo censimento risalente al 2010, circa l’8% dei rappresentanti di queste minoranze nazionali ha dichiarato di conoscere e parlare la lingua jacuta e di essere praticamente bilingue.
La lingua jacuta viene studiata in più di 400 scuole locali ed è utilizzata come lingua d’istruzione da più del 17% della popolazione, che la predilige al russo. Il governo locale cerca in tutti i modi di mantenerla in vita, pubblicando all’incirca 20 testate regionali, 7 testate locali e 5 riviste in questa lingua, tra cui il noto giornale Sacha Sire (letteralmente: terra di Sacha). Inoltre, la radio parla jacuto da due a cinque ore al giorno, mentre la televisione per due ore al giorno.
Il primo testo scritto in lingua jacuta apparve nel 1819. Si tratta di un brevissimo catechismo tradotto dal russo da un prete, Popov, che utilizzò l’ortografia russa, rivelatasi tuttavia non molto adatta all’idioma in questione.
Il tentativo successivo, molto più riuscito, datato 1851, è opera del linguista tedesco Otto von Bohtlingk, noto per il suo lavoro sulla lingua jacuta Über die Sprache der Jakuten. Decise di prendere come alfabeto base quello cirillico russo, modificandolo leggermente per permettere di rifletterne la fonetica jacuta. Questo nuovo alfabeto fu preso come riferimento per il primo dizionario russo-jacuto (1907) redatto da Eduard Pekarskij, che contiene all’incirca 25mila parole.
Tuttavia, ben presto alcuni studiosi si resero conto che l’alfabeto cirillico non rispondeva esattamente alle esigenze di questa lingua. Semen Andreevič Novgorod, considerato il padre dell’alfabeto jacuto, riprese gli studi di Von Bohtlingk interessandosi molto anche al folclore locale e creando la prima rivista letteraria e politica in lingua sacha (Sacha sangata – Саха саҥата) tra il 1912 e il 1913. Novgorod considerava l’alfabeto dell’esperto tedesco foneticamente inadatto per la lingua jacuta, la cui scrittura doveva essere rapida (un suono, un fonema). Decise perciò di rimetterci mano, inizialmente mescolando i due alfabeti, cirillico e latino, per poi finalmente adottare l’alfabeto fonetico internazionale (IPA), che a suo parere calzava a pennello.
Le critiche all’alfabeto di Novgorod non mancarono e tra il 1929 e il 1939 l’IPA venne sostituito da un altro alfabeto che rispecchiava il sistema di scrittura turco unificato, ovvero un alfabeto latino utilizzato in epoca sovietica da tutte le lingue di ceppo turco, iraniano, mongolo, ugro-finnico e nord-caucasico. Solo verso la seconda metà degli anni ’30 del Novecento iniziò il processo di traslitterazione e riscrittura di queste lingue dell’Urss in alfabeto cirillico (fenomeno legato alla russificazione forzata di epoca staliniana), e così avvenne anche per la lingua jacuta, il cui alfabeto tuttora in uso fu approvato il 23 marzo 1939.
L’alfabeto moderno è composto dalle 33 lettere dell’alfabeto russo e da altre 5 lettere che indicano i suoni specifici della lingua sacha (ҕ, ҥ, ө, һ, ү), da due digrammi (gd, ny) e da 4 dittonghi (yo, ya, ue, үө).
Parliamo jacuto!
La lingua jacuta è una lingua agglutinante piuttosto omogenea, nonostante esistano comunque delle piccole differenze dialettali, che si notano soprattutto tra le parlate del nord e del sud della regione. Caratterizzata da 18 consonanti, 8 vocali e 4 dittonghi, il suo tratto principale è l’armonia nell’utilizzo delle vocali e dei suoni lunghi e corti. L’accento è posto sull’ultima sillaba, tratto tipico degli idiomi di ceppo turco, tuttavia nelle parole lunghe potrebbe esserci un accento secondario posto sulla prima sillaba.
La lingua jacuta, il cui predicato verbale è sempre posto alla fine del periodo, è caratterizzata da un’eccezionale varietà di forme temporali, tra cui circa una ventina di forme passate, riconoscibili grazie a prefissi e suffissi. Non esistono preposizioni, ma sono ben 8 i casi utilizzati per declinare nomi e numeri: nominativo, accusativo, comitativo, partitivo, dativo, comparativo, strumentale e ablativo.
I pronomi personali sono min, en, kini, bihigi, ehigi, kililair.
Il plurale è indicato dal suffisso -lar-, che può assumere forme diverse (-lar, -ler, -lör, -lor, -tar, -ter, -tör, -tor, -dar, -der, -dör, -dor, -nar, -ner, -nör, -nor), a seconda dell’armonia con il suono precedente.
Numerosi prestiti vengono dalla lingua mongola e dalle lingue altaiche manciù-tunguse, parlate nell’Asia settentrionale. L’influenza russa lessicale rimane tuttavia quella più significativa:
Lingua sacha
Lingua russa
Traduzione italiana
бииккэ (biike)
вилка (vilka)
forchetta
остуол (ostuol)
стол (stol)
tavolo
хортуоска (hortuoska)
картошка (kartoška)
patata
баһыыба (bahyyba)
спасибо (spasibo)
grazie
Ci sono diversi modi per approcciarsi allo studio della lingua jacuta, che resta tuttavia un idioma complesso e ricco. Esiste un dizionario online russo-jacuto, una pagina Wikipedia dedicata alla grammatica jacuta, nonché trasmissioni radio-televisive dove si possono ascoltare programmi in lingua sacha.
Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraina” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.