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Intervista al politologo in esilio Alexander Baunov: il regime russo e il “culto dello Stato”

Nell’ambito del festival Pordenonelegge abbiamo intervistato Alexander Baunov, esperto di politica internazionale di formazione classica ed ex diplomatico dell’ambasciata russa ad Atene. Come giornalista, è stato capo redattore di Carnegie.ru, chiuso dalle autorità russe nel 2022. Al momento è visiting scholar a Firenze all’Istituto Universitario Europeo (EUI).

Inizierei dal titolo del suo libro, La fine del regime. Potrebbe far subito pensare che il tema del volume sia la fine futura dell’attuale regime russo. Come sappiamo, però, il libro tratta della caduta di tre dittature europee avvenute nel Novecento, ossia in Spagna, Portogallo e Grecia. Eppure, in maniera piuttosto trasparente si possono vedere dei parallelismi tra quanto descritto e la situazione russa odierna. Può fare qualche esempio?

Prendiamo l’idea del regime greco di riunire il popolo con la forza e veniamo a Cipro, dove si riteneva necessario provocare un colpo di stato e annettere l’isola alla Grecia. Il regime iniziò a concretizzare quest’idea, ma, al posto di un’operazione speciale di successo, ottenne l’intervento turco e la sconfitta nella guerra.

La Russia non può perdere la guerra, perché se questo accadesse Mosca ricorrerebbe in un modo o nell’altro alle armi di distruzione di massa, sebbene ci possano essere degli scenari alternativi prima di arrivare al quel punto.

Ecco, quindi, una somiglianza sta in questa idea della necessità di ripristinare i confini “naturali” e “giusti”, riunificando il proprio popolo “artificialmente separato” dall’Occidente. Dopotutto, chi è che veniva accusato del fatto che l’isola di Cipro fosse separata dalla Grecia? La Gran Bretagna, il colonialismo. La retorica è molto simile a quella impiegata oggi da Putin. 

L’idea invece del “russkij mir”, del mondo russo, forse consapevolmente, rima con l’idea del lusotropicalismo, ossia l’idea che un “mondo portoghese” esista in continenti diversi. Il regime di Salazar negava che si trattasse di un impero e insisteva sul fatto che fosse una civiltà a se stante.

Ad avere imperi erano i francesi, gli inglesi, i tedeschi, l’America era un impero, ma non il Portogallo perché, stando a Salazar, tutti i cittadini del mondo russo, pardon portoghese, erano uguali, condividevano gli stessi valori, si volevano tutti bene, per cui non si poteva pensare che esistesse da un lato il Portogallo e dall’altro esistessero delle colonie; era un mondo a se stante, un modello di civiltà a se stante, lusotropicale.

Questa idea è molto simile a quella del “mondo russo”, che rifiuta di essere definito impero, sebbene è evidente che lo è, anche se particolare, di tipo continentale. La trovata recente — dato che costantemente il regime sente la necessità di inventare qualcosa di nuovo — del concetto di “paese-civiltà” è copiata pari pari dall’esempio portoghese.

Consapevolmente copiata?

Non saprei, penso parzialmente. A occuparsene è Kirienko [vice-capo di gabinetto dell’amministrazione presidenziale] con la sua cerchia, e lui è una persona erudita. E dirò di più: ha anche letto il mio libro.

Non si può infatti dire che tutti quelli che leggono il mio libro vogliano che il regime cada; la maggior parte sì, ma c’è una parte di lettori che vuole capire come far evitare che cada il regime.

È una sorta di manuale.

Un manuale per tutti, per questi e per quelli. Queste sono solo due somiglianze, ma la lista è lunghissima.

Durante l’incontro con il pubblico Lei ha parlato di un’altra di queste somiglianze, ossia che nel regime russo attuale manca un’ideologia precisa, siamo davanti piuttosto a una dittatura personale, che ruota attorno a una figura singola. 

Non è che non ci sia un’ideologia, ci sono degli elementi di ideologia, ma sono elementi opportunistici diciamo. Putin, ad esempio, dice che è stato Lenin a creare tutte queste nazioni diverse, che è stato lui a creare l’Ucraina, il Kazakhstan, e così via.

D’altra parte però nelle città ucraine che l’esercito russo conquista tra le prime cose che fa c’è il ripristino delle statue di Lenin, a mo’ di marchio visibile di appartenenza a uno spazio comune, dato che in Russia queste statue sono tuttora in piedi, mentre in Ucraina sono state tirate giù come per distinguersi dalla Russia.

Sono divenute un simbolo, certo.

Ed ecco che il “ritorno” sotto il controllo russo trova un simbolo, tra le altre cose, nelle statue ripristinate. Che significato ideologico viene dato invece alla Rivoluzione del 1917 o a Lenin? La Rivoluzione è vista pressoché in negativo, d’altra parte però Lenin ha portato fuori il paese dalla guerra civile, riunì il paese, conquistò territori.

Una costante contraddizione…

Sì, e poi c’è la Chiesa, posta al centro dell’ideologia, e accanto ad essa, in qualità di importante figura ideologica odierna, troviamo Stalin, che represse la Chiesa. Letteralmente ieri, su iniziativa se non erro di Zjuganov [leader del partito comunista], Putin ha discusso alla Duma con i rappresentanti dei gruppi parlamentari della possibilità di rinominare non solo l’aeroporto, ma la città stessa di Volgograd con il nome Stalingrado.

È naturale che si parla di Stalin in rapporto alla vittoria [nella Seconda guerra mondiale] e non alle repressioni. Non è che le repressioni si neghino, per ora almeno, ma di esse può parlare solo lo Stato e non la società civile. È lo Stato a decidere quando, come, quanto parlarne. Agli altri non è permesso. Non è che si neghino le repressioni staliniane, ma si vieta di parlarne liberamente. 

Se vuoi scoprire come le autorità russe vietino la libertà di espressione sui temi della memoria delle repressioni sovietiche, leggi Il caso Sandormoch: l’inchiesta scomoda sulla memoria

È presente un insieme di elementi di stampo conservatore, aggressivo-conservatore direi, ma al centro c’è semplicemente una forma di étatisme estrema, radicale: lo Stato ha sempre ragione, la società ha sempre torto quando entra in conflitto con lo Stato.

Qualsiasi periodo nella storia russa è visto come glorioso. Per questo per le autorità è difficile parlare di Gorbačëv, vorrebbero criticarlo, ma si rapportano con attenzione alla critica di qualsiasi periodo e governo. Gorbačëv è forse quello visto più negativamente, ma nel complesso la Russia viene descritta come un paese grande, ogni periodo della sua storia è un grande periodo e, a prescindere dagli sbagli singoli, ciascun leader va onorato. 

Questa è l’ideologia più comoda per un regime che non ha una propria “Bibbia”, che non ha alcuna verità fissata sulla carta. Questo regime vuole avere libertà di azione, manipolare elementi di destra e di sinistra, avvicinarsi alle estreme destre in Europa e alle estreme sinistre in America Latina, dire ad alcuni di essere il paese della Rivoluzione, di Lenin e di Stalin, e dire ad altri di essere un paese che lotta contro la migrazione e dove il potere è in mano a un leader forte che difende il proprio popolo. 

Quando non hai un’idea concreta e vuoi mescolare ogni cosa nelle proporzioni adatte al caso, la cosa più facile è creare un culto dello Stato. Da qui deriva l’idea che il cittadino russo è colui che serve lo Stato e in questo sta la sua missione.  

Mi sembra che questo abbia molto a che fare con una cosa interessante che Lei ha detto ieri sera all’incontro. Ossia che l’attuale guerra in Ucraina non è che una sorta di vendetta, di rivincita alla luce della sconfitta nella guerra fredda, ossia un momento che non può essere tratteggiato come glorioso secondo questa narrazione governativa.

Esattamente. L’Ucraina è un campo in cui si può far risuonare una melodia opposta. La Russia deve tornare nel mondo come se non avesse mai perso la guerra fredda. E il mondo deve accogliere la Russia come se si fosse dimenticato della guerra fredda.

Per non ricordare più quella pagina della storia. Per tornare a essere come era l’Impero russo nell’Ottocento, ma non come nella Guerra di Crimea, bensì vittorioso, come contro Napoleone o contro l’Impero ottomano, oppure come era la Russia con Stalin, che si spartì il mondo con l’America. Così deve tornare a essere la Russia nella mente dell’uomo che guida il regime e che ritiene che gli anni che ha passato al potere debbano concludersi con la completa rivisitazione, riscrittura, cancellazione di tutto il periodo precedente.

Un processo graduale e incessante. Il suo libro ha avuto un grandissimo successo in Russia, è divenuto un bestseller, ha vinto il premio Prosvetitel’; eppure, nello stesso anno di questi successi, nel dicembre del 2023, Lei è stato dichiarato “agente straniero”. Come è avvenuto?

C’è un legame diretto. Ma va pur detto che anche se senza questo libro avrei potuto venire dichiarato “agente straniero”.

Non sai chi sono gli “agenti stranieri”? Leggi il nostro approfondimento

La motivazione ufficiale è stato il libro?

Non lo so, il ministero della Giustizia pubblica un lungo elenco di motivazioni, all’inizio della lista di solito sta scritto che la persona ha espresso opinioni contrarie all’operazione militare speciale, che ha partecipato alle attività di soggetti riconosciuti come “agenti stranieri”, che ha diffuso informazioni false pubblicamente. Il libro di per sé non è menzionato tra le motivazioni. Quella di dichiarare una persona “agente straniero” è una decisione personale presa dalla direzione dell’FSB per la difesa dell’ordinamento costituzionale. 

Il libro ora è stato rimosso dalle librerie, dopo le novità introdotte il 1° settembre [ne abbiamo scritto qui]?

Dalle librerie in generale è stato rimosso, ma su Internet è ancora possibile comprarlo. So che il sito Labirint lo ha rimosso, ma credo che su Ozon ci sia ancora. Anzi, controlliamo subito [controlla]. Ecco, qui su Ozon è in vendita, semplicemente la copertina è oscurata e c’è scritto che è “Merce per adulti”, come fosse una rivista pornografica.


La fine del regime, Alexander Baunov, traduzione di Riccardo Mini, Silvio Berlusconi Editore, 2025

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Martina Napolitano
Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica, è docente di lingua russa e traduzione presso l’Università di Trieste, si occupa in particolare di cultura tardo-sovietica e contemporanea di lingua russa. È traduttrice, curatrice di collana presso la casa editrice Bottega Errante ed è la presidente di Meridiano 13 APS.