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Dieci poeti per Vasyl’ Stus e Marina Cvetaeva

Dieci poeti chiamati a tradurre, o “estroflettere” come suggerisce Valerio Magrelli tra di essi, due loro colleghi di altre epoche e spazi.

Chiamati a tradurre e fare propri due testi che, in realtà, per loro intrinseca natura sono universali e già universalmente tradotti, perché — come suggerisce uno (una) di loro — “Orfeo fa esplodere ogni nazionalità”, la quale “è separatezza e chiusura” per un poeta per cui “nessuna lingua è madrelingua”. Sono parole di Marina Cvetaeva, poeta della quale dire (soltanto) due parole è un reato, ma sulla quale scrivere delle ennesime pagine non sarebbe da meno. E dunque non dirò nulla, se non che difficilmente un nome più adatto del suo si poteva trovare nel panorama dell’arte letteraria russa (se proprio nazionalità le si vogliono dare) per affiancare i versi di un poeta dal destino altrettanto tragico e dalla personalità altrettanto totalizzante, estrema nella sua sintesi di arte e vita, sentimento e percezione, come Vasyl’ Stus per il quale la nazionalità — quella ucraina — ha un valore, in questo specifico caso, estetico, che supera proprio per la sua valenza strutturale e generativa quella rischiosa “separatezza e chiusura” dei freddi passaporti. 

La copertina del libro Dieci poeti per Vasil’ Stus e Marina Cvetaeva

Dunque, un componimento di Vasyl’ Stus e uno di Marina Cvetaeva, scelti per questo nuovo volume della collana Diecixuno di Mucchi editore: Dentro di me sta già nascendo Dio e Inimitabile mente la vita (quest’ultima era stata a sua volta tradotta in ucraino proprio da Stus). A rendere di questi versi di lingua ucraina e russa delle variazioni (sul tema) di lingua italiana sono stati invitati Annelisa Alleva (l’unica, da slavista, a tradurre direttamente dagli originali), Fabrizio Bajec, Massimo Bocchiola, Roberto Deidier, Paolo Febbraro, Rosaria Lo Russo, Paola Loreto, Valerio Magrelli, Annalisa Manstretta e Edoardo Zuccato (che ne ha reso due componimenti, per la precisione, in dialetto altomilanese). In realtà in fondo al volume, all’interno della nota curata da Antonio Lavieri, vi è una undicesima variazione sul tema di Franco Buffoni che offre un’accurata e interessante riscrittura dei soli versi di Cvetaeva (in quanto a Stus, scrive, “non lo posso tradurre perché letteralmente non mi muove”).

Non entrando nel dettaglio delle singole riscritture, andrà notata la difficoltà dei due testi scelti, non soltanto a livello lessicale, sintattico, semantico, ma anche a livello di intreccio giocoso di suoni tra paronomasie e figure etimologiche (es. nepodražaemo lžët žizn’ / […] no po drožaniju vsech žil), per non parlare del ritmo. Imprescindibile risulta, per la comprensione profonda anche della stessa operazione di accostamento di questi due poeti, la lunga e accurata introduzione dello slavista Alessandro Achilli, il quale non solo offre una dettagliata panoramica delle biografie e delle produzioni dei due autori, ma si sofferma sui due specifici componimenti commentandoli analiticamente. Proprio Achilli, lo ricordo, è autore dell’importante monografia La lirica di Vasyl’ Stus. Modernismo e intertestualità poetica nell’Ucraina del secondo Novecento (FUP, 2018). Qualche tempo fa in un’intervista avevamo approfondito l’interessante figura di Stus (1938-1985), poeta e dissidente dell’Ucraina sovietica che in tutto, tra campi di lavoro, prigionia ed esilio, trascorse tredici anni stretto nelle maglie della repressione, divenendo il simbolo della dissidenza ucraina.

“In un drammatico frangente storico in cui i rapporti non solo politici, ma anche letterari tra l’Ucraina e la Russia sembrano comprensibilmente indirizzati a una lunga stagione di crisi, la possibilità di riflettere su un incontro, seppur distante nel tempo e nello spazio, come quello che ha avvicinato Stus e Cvetaeva è sicuramente un grande privilegio” (A. Achilli, Introduzione, p. 21).

È proprio questo che fa questo agile volumetto, uscito lo scorso maggio: costruisce un ponte privilegiato. Personalmente aggiungerò che questo ponte accende qualcosa dentro dopo quel blocco e quella difficoltà a scrivere, a parlare, a ragionare ad alta voce sorti in molti di noi il 24 febbraio. Dopo essere rientrata a fine 2021 dalla cara Kiev/Kyiv (biograficamente ambiente del mio primo incontro con quel mondo russo che con il russkij mir putiniano non ha nulla a che fare; erano — apparentemente — anni luce prima della Rivoluzione della dignità e tutto quello che ne è seguito) carica di un malloppo della più contemporanea poesia ucraina in lingua russa donatomi nei più svariati luoghi della capitale (djakuju!), quella data di fine febbraio ha fatto saltare alcuni ponti (estetici, percettivi, comunicativi).

L’incontro tra Stus e Cvetaeva riscalda, calma, lenisce e ricorda che la poesia sa sempre essere eretica, ebrea, scomoda, bastiancontraria, innalzandosi sopra a tutti quei ponti che vengono fatti saltare in aria.

“Dieci poeti per Vasil’ Stus e Marina Cvetaeva”, introduzione di A. Achilli, nota di A. Lavieri, Mucchi editore, 2022.
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Martina Napolitano
Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica, è docente di lingua russa e traduzione presso l’Università di Trieste, si occupa in particolare di cultura tardo-sovietica e contemporanea di lingua russa. È traduttrice, curatrice di collana presso la casa editrice Bottega Errante ed è la presidente di Meridiano 13 APS.