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Dalla Žiguli alla Baltika, piccoli sorsi di birra russa

I conoscitori dell’Unione Sovietica, nonché gli amanti della letteratura russa del Novecento non avranno bisogno di grosse precisazioni: se è birra, è Žiguli (Žigulëvskoe). Presa a base anche di uno dei famosi cocktail letterari della penna di Venedikt Erofeev, è questa la tipologia di birra più popolare in Urss che, prodotta in quasi un migliaio di stabilimenti, arrivò a coprire pressoché l’80% dell’intero mercato sovietico. Tuttavia, in quel restante 20% le varianti erano moltissime: tra gli anni Venti e il 1991 l’Urss produsse circa 350 tipologie diverse di birre. Ma andiamo con ordine.

La birra (anzi, le birre) in Unione Sovietica

All’indomani della nascita dell’Unione Sovietica, le tipologie prodotte dai birrifici di epoca imperiale erano per lo più legate alle tecnologie tedesche e ceche e dunque la produzione prevedeva in larga parte delle lager. Per normativa nel 1927 vennero introdotti dei rigidi parametri che riducevano gli standard ammissibili a quattro tipologie: due chiare, una scura e una nera a bassa gradazione alcolica. La lista venne ampliata nel 1938 a otto tipologie, che sopravvissero tali fino al collasso dell’Unione Sovietica (alcune anche oltre il 1991): tra le quattro scure si trovano la Ukrainskoe, la Martovskoe, la Porter e la Karamel’noe (quest’ultima a così bassa gradazione alcolica che veniva proposta anche ai bambini e alle madri durante l’allattamento); tra le chiare invece c’erano la Russkoe, la Moskovskoe, la Leningradskoe e la già citata Žigulëvskoe, in realtà nient’altro che la vecchia Venskoe (Viennese) pre-rivoluzionaria rinominata. Lo stesso si può dire per la Ukrainskoe, in realtà nuovo nome per la Mjunchenskoe, Monacense, in omaggio alle birrerie ucraine che la producevano. Dopo la Seconda guerra mondiale, la Russkoe sarà invece rinominata Rižskoe, una volta che la città di Riga (e l’area baltica in generale) diviene territorio sovietico.

Il numero di tipologie di birra però esplose a partire dalla fine degli anni Cinquanta, quando venne meno la necessità di sottostare al rigido standard delle otto tipologie sopra citate. Inoltre, dalla Seconda guerra mondiale, parte delle più aggiornate tecnologie tedesche del settore divennero la base per questa nuova sperimentazione.

Tra i nuovi prodotti di questi anni troviamo le seguenti: la Magadanskoe che veniva prodotta con l’aggiunta di estratto di aghi di pino; la Samarskoe, per la quale si utilizzava la soia; la Kadaka estone, con l’aggiunta di bacche di ginepro. Nacque inoltre alla fine degli anni Settanta una birra che arrivò a fare concorrenza alla leader del settore Žiguli: parliamo della Jačmennyj kolos (Spiga d’orzo), una lager con aggiunta di orzo non maltato. In questo periodo una novità fu anche la diffusione della birra in bottiglia, sebbene la conservazione fosse garantita soltanto per sette giorni. Nonostante la campagna contro l’alcolismo lanciata da Michail Gorbačëv nel 1985, che provocò un netto calo della produzione, negli ultimi anni sovietici la sperimentazione su nuove tipologie non si fermò (comparvero la Vitjaz’ e la Šipka, solo per citarne un paio). 

baltika
“Niente birra” – Dal blog di Vitalij Dubogrej e Pavel Egorov

La fine dell’Unione Sovietica ebbe un brusco impatto su tutto il mondo industriale, compresi gli stabilimenti di produzione della birra. Per lo più chi sopravvisse si concentrò sulle tipologie più vendute, in primo luogo la più volte citata Žiguli. Sorsero in questi anni anche delle nuove fabbriche, alcune delle quali ebbero una fortuna più lunga delle altre, quale fu il caso della Baltika.

La storia di successo della Baltika

Il birrificio Baltika fu fondato nel 1990 a Leningrado e, cavalcando l’onda delle privatizzazioni dei primi anni post-sovietici, già nel 1992 divenne una società per azioni, il cui principale azionista (con il 70% delle azioni) già l’anno successivo era la scandinava Baltic Beverages Holding (creata dalla fusione della finlandese Hartwall, dalla svedese Pripps e dalla norvegese Ringnes).

Il suo primo direttore, in seguito presidente, fu Tajmuraz Bolloev, ex capo tecnologo del birrificio leningradese Stepan Razin. Fu Bolloev (a capo del birrificio fino al 2004) a decretare la trasformazione dello stabilimento Baltika in un marchio di importanza globale, accrescendo di venti volte la produzione di birre. Va detto che la Baltic Beverages Holding non investì semplicemente nello stabilimento, ma vi importò le proprie migliori tecnologie, scalzando così il primato tedesco dal comparto industriale russo in campo di produzione di birra. Inoltre, introdusse in Russia l’uso delle lattine, mentre Bolloev lanciò la prima birra analcolica nel paese. Dal 1995 la leadership di Baltika in Russia è insuperata. Nel tempo la compagnia si è ampliata, arrivando a otto stabilimenti per un totale di oltre ottomila dipendenti.

Dalla relativamente piccola holding scandinava, tuttavia, Baltika è passata – con una serie di operazioni – nelle mani del gigante danese Carlsberg nel corso degli anni Duemila: nel 2000 infatti Carlsberg acquisì la svedese Pripps, mentre l’anno successivo la finlandese Hartwall si unì alla grande compagnia britannica Scottish & Newcastle; nel 2008, pochi giorni prima dello scoppio della grande crisi finanziaria globale, Carlsberg ha rilevato il settore russo controllato da quest’ultima. Nel 2013, sotto la guida del nuovo presidente Isaac Sheps, il 100% delle azioni di Baltika passeranno in mano al gruppo Carlsberg (all’epoca il quarto più grande al mondo). Nel frattempo, nel 2007 Baltika è stata leader in Europa per vendite. Inoltre, è stata l’unica compagnia non legata al settore petrolifero e metallurgico a entrare nel ranking (26esimo posto) delle maggiori industrie dell’Europa orientale. 

Se la holding scandinava aveva importato in Baltika le proprie tecnologie di produzione, Carlsberg ha puntato sullo sviluppo del settore agricolo, potenziando in particolare la produzione di malto e di orzo. La compagnia ha anche adattato due specifiche varietà di orzo al clima russo rendendolo più resistente e duraturo.

Nel 2012 inoltre il gruppo Carlsberg si è impegnato con l’Unido (Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale) promettendo un investimento di un miliardo di rubli (circa 25 milioni di euro al tempo) in progetti di protezione ambientale in Russia. Sempre in un’ottica di promozione della propria immagine “sostenibile”, il gruppo – dunque, inclusa Baltika – si è impegnato negli ultimi anni a puntare a raggiungere i cosiddetti “4 zeri” entro il 2030: zero emissioni, zero spreco di acqua, zero consumo irresponsabile e zero incidenti.

Nazionalizzazioni in tempo di guerra

All’indomani dell’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, Carlsberg è stata tra i marchi europei a dichiarare la propria intenzione di lasciare la Russia. Per oltre un anno ha cercato un acquirente e in giugno 2023 aveva annunciato, senza fare nomi, di aver trovato un accordo. In primavera si è parlato di un possibile interesse da parte di un altro gigante del settore, il gruppo belga-brasiliano AB InBev Efes (che detiene, tra le altri, la Leffe, per intenderci), al centro di polemiche già lo scorso anno per la decisione di aprire sette nuovi stabilimenti in Russia in una joint venture con il produttore turco Anadolu Efes (Katja Juščenko, moglie dell’ex presidente ucraino, invitò su Twitter a boicottare la birra Leffe). In ogni caso, chi fosse effettivamente l’intenzionato a comprare Baltika non è stato reso noto, dato che meno di un mese dopo c’è stato un vero e proprio colpo di scena. 

Il 17 luglio 2023 Baltika (e lo stesso è accaduto alle filiali russe di Danone) è stata messa sotto controllo diretto dello stato russo secondo una decisione, a quanto dichiarato da Carlsberg, unilaterale e inaspettata. Un vero “shock”, a detta dell’amministratore delegato Cees ’t Hart. Il gruppo Carlsberg ha dichiarato di mantenere ad oggi la proprietà delle azioni di Baltika, ma di non avere più alcun controllo o influenza sulla società.

L’Agenzia federale per la gestione delle proprietà statali ha già indicato i nuovi direttori delle compagnie “nazionalizzate”: per la Danone è stato indicato il ministro dell’Agricoltura della Repubblica cecena Jakub Zakriev, altresì nipote trentaduenne di Ramzan Kadyrov, l’autoritario leader ceceno. Per Baltika è stato rispolverato un nome dal passato, ovvero il suo primo direttore, Tajmuraz Bolloev: già negli anni alla guida della Baltika privatizzata, Bolloev si era avvicinato al neo-eletto presidente Putin, sostenendo apertamente la sua campagna elettorale, divenendo membro del Consiglio per le attività imprenditoriali del Governo, nonché guidando in seguito la società statale Olimpstroj che si occupò di progettare le infrastrutture per le Olimpiadi invernali di Soči del 2014 (non è un caso che Baltika fu fornitore e partner ufficiale dei Giochi). Quale sarà il destino di Baltika in seguito a questa nazionalizzazione coatta?

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Martina Napolitano
Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica, è docente di lingua russa e traduzione presso l’Università di Trieste, si occupa in particolare di cultura tardo-sovietica e contemporanea di lingua russa. È traduttrice, curatrice di collana presso la casa editrice Bottega Errante ed è la presidente di Meridiano 13 APS.