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Guber Srebrenica, giocare a calcio insieme nella città del genocidio

Il rumore del pallone da calcio è lo stesso ovunque: nella finale dei campionati del mondo, come nell’ultimo campo scalcagnato della terra, dove un operaio e un disoccupato si scambiano due lanci. Quello che cambia sono i significati che insieme a quella sfera si muovono sul campo da gioco. Ci sono alcuni luoghi dove giocare a calcio vuol dire qualcosa di più, Srebrenica è uno di quelli. Questa è la storia del Fudbalski klub Guber Srebrenica.

Nella stagione appena conclusa la squadra si è piazzata all’undicesimo posto nella terza divisione nazionale, ovvero la seconda divisione della Republika Srpska. Perché il calcio in Bosnia, come praticamente tutto il resto, è ancora fermo alla divisione imposta dagli accordi di Dayton. Così esiste un solo campionato di prima divisione perché la Uefa lo ha imposto come norma per partecipare alle competizioni europee, ma già dal secondo livello della piramide calcistica le sorti delle squadre si dividono. Da una parte i serbi, da una parte i croati e i musulmani. Succede così che le due entità governative che compongono la Bosnia Erzegovina vivano ignorandosi reciprocamente, anche nel calcio.

L’ultima parte della classifica della seconda divisione della Republika Srpska di Bosnia (sito Federazione Rep. Srpska)

E di fronte a questi muri etnici che dividono e tengono lontani, il Guber prova a rappresentare l’eccezione. Proprio qui risiede il grande merito di questa squadra: in una comunità dilaniata da quello che è successo nel luglio 1995 (ma anche prima e di conseguenza dopo), il progetto della squadra di calcio prova a superare le divisioni per dimostrare al mondo che se non altro si può giocare insieme, serbi e bosgnacchi.

Non è una cosa scontata. A Srebrenica trent’anni fa avvenne un genocidio in cui una delle due parti massacrò l’altra, occultandone i cadaveri in una sterminata serie di fosse comuni. E attenzione quello fu soltanto la punta dell’iceberg di una politica di pulizia etnica che aveva preso il via già tre anni prima, con uno schema ricorrente e ripetuto in quasi tutta la Bosnia orientale. Srebrenica fu l’ultima a cadere, ma lo schianto non fece quasi rumore, tanto che la bella e civile Europa non disse praticamente niente.

Da quel giorno tutto cambiò. La zona mutò radicalmente la sua composizione etnica. Dove c’era stata una maggioranza serba, ora c’era un cento per cento serbo, dove c’era stata una maggioranza musulmana, ora c’era una maggioranza serba. Soltanto nel primo decennio del Duemila qualcuno provò timidamente a tornare a casa, a tornare a Srebrenica. Per quanto forte fosse stato l’orrore, rimaneva pur sempre casa.

C’è un video straziante nel museo che oggi si trova in quella che fu la base Onu durante quegli anni. Una donna racconta di come perse il figlio adolescente, stanza dopo stanza si configura il dramma personale di una madre. Eppure nell’ultima stanza lei dice una cosa che fa raggelare il sangue, ma apre comunque a una riflessione non scontata: “io a Srebrenica ho i ricordi più brutti della mia vita, ma anche i più belli”. 

Il calcio in città

C’è un passaggio molto bello in un articolo di Marzio G. Mian per Internazionale in cui l’imam di Srebrenica, Damir Bektić, racconta di come sia stata possibile una sorta di ripartenza legata al calcio. In un primo momento, la linea di centrocampo dell’impianto sportivo veniva usata come limite invalicabile per i ragazzi delle due comunità che volevano giocare a calcio.

Lo stadio del Guber Srebrenica (Massimo Ficociello)

Poi la palla rotola dall’altra parte, all’inizio viene restituita con rabbia, forte, per dispetto, poi piano piano più naturalmente, poi si sente un grazie, poi lo si fa con un sorriso, poi succede che a una delle due squadre manca un giocatore in un ruolo che ricopre proprio quel ragazzo dell’altra metà campo e così si inizia a giocare insieme, superando le difficoltà. Poi quando si segna, ci si abbraccia.

Oltre a un avvicinamento spontaneo dei ragazzi ci hanno pensato anche i grandi che hanno deciso di rifondare il Guber e di renderlo per statuto una società di calcio multietnica, aperta a tutti, con l’obiettivo di avere qualcosa che unisse Srebrenica anziché dividerla. Non è stato facile trovare i soldi per ripartire e non è facile andare avanti, anche perché di aiuti da fuori ne arrivano davvero pochi.

Tutti “ricordano Srebrenica” fra i giocatori della nazionale, ma da lì a contribuire allo sport cittadino ce ne passa e allora i soldi vanno trovati altrove. Ma la storia del Guber è lunga più di un secolo e non ha intenzione di finire certo oggi, che ci siano o meno i soldi.

La centenaria storia del Guber

Una foto storica della nascita del calcio a Srebrenica

La leggenda dice che furono dei ragazzi del posto che studiavano a Zagabria a portare il primo pallone in città nel 1923. Poi Čedomir Čedo Vujadinović, serbo, e Selman Selmanagić (che emigrò in Germania e divenne poi un importante architetto di fama mondiale), bosgnacco, donarono i loro terreni che erano adiacenti, in modo da permettere alla città di avere uno campo sportivo, costruito già l’anno dopo. Nel 1924 nacque ufficialmente la squadra di calcio di Srebrenica. 

Il club cambiò denominazione un’infinità di volte: Proleter, Vatrogasac, Polet, Rudar e finalmente nel 1974 Guber. Il nome deriva da una pregiatissima sorgente che nasce alle spalle della città e che regala a chi ne beve l’acqua un sapore forte e ferroso, utile a combattere le malattie della pelle e non solo. Srebrenica, il cui nome evoca l’argento, ai tempi della Jugoslavia era una sorta di ritiro salutare per chi cercava benessere e una cura termale contro i propri malanni. Il nome della squadra non poteva, infine, che ispirarsi a quest’acqua quasi miracolosa nella speranza che anche i risultati del club sarebbero stati altrettanto fantastici.

Dalla storia del club, che gentilmente ci ha inviato il presidente del club, si legge: “la composizione della squadra e la dirigenza dell’FK Guber sono sempre state miste, multinazionali o, come si dice oggi, multietniche, il che significa che ci sono sempre stati serbi, bosgnacchi, rom e altri giocatori in squadra… e il pubblico è sempre stato il dodicesimo uomo in campo”.

La squadra nel corso della sua storia non ha mai raggiunto i livelli più alti del calcio nazionale, ma si è tolta qualche soddisfazione. Ad esempio quella volta che nel 1972, dopo aver vinto il campionato jugoslavo, lo Željezničar, con la leggenda Josip Katalinski detto Škija, andò a giocare a Srebrenica in occasione della giornata dei minatori. Ma la partita che tutti ricordano è sicuramente un’altra e venne giocata nella stagione 1989/90.

La partita più importante della storia del Guber

Il cammino del Guber nella coppa nazionale fu costellato inizialmente di incontri nei quali si sbarazzò facilmente di squadre di rango inferiore. La finale regionale contro il Radnički di Lukavac fu giocata e vinta ai rigori allo stadio Tušanj di Tuzla. Sembrava già abbastanza, ma gli dei del calcio non erano ancora contenti e la formazione bianco-blu sconfisse i detentori della coppa nazionale, ovvero il Borac di Banja Luka. 

Guber - Borac Banja Luka
La partita fra Guber e Borac Banja Luka

Come racconta Faruk Smajlovic sul suo blog, l’allenatore avversario, Stanko Poklepović, quando entrò allo stadio disse che non aveva mai giocato in una città dove non ci fossero neanche cinque case. Dato che l’impianto si trova proprio all’ingresso di Srebrenica, l’allenatore non aveva avuto l’opportunità di vedere il centro. Poklepović non aveva idea che avrebbe ricordato le “cinque case” per il resto della sua vita. Paradossalmente il turno successivo fu più agevole con una roboante vittoria per 4-1 contro il Velež di Nevesinje. Il Guber era fra le migliori 32 squadre della Jugoslavia.

La prossima avversaria sarebbe stata la Budućnost Titograd, oggi Podgorica. Era una squadra forte che militava in prima divisione, dove giocavano tanti giovani che avrebbero scritto la storia del calcio. Un nome su tutti Predrag Mijatović che qualche anno dopo avrebbe segnato un gol in finale di Coppa Campioni riportando il trofeo al Real Madrid dopo più di trent’anni. Non solo, alcuni calciatori della squadra montenegrina erano campioni in carica del Mondiale Giovanile che la Jugoslavia aveva vinto in Cile.

Per approfondire leggi: Cile 1987: la Jugoslavia in cima al mondo

Fu una partita vera e ricca di emozioni a dispetto della differenza di categoria. I tempi regolamentari si conclusero in pareggio per 1 a 1. Si andò così ai calci di rigore e l’eroe della partita fu il portiere Jusuf Malagić, che, novello Duckadam, parò due rigori. Il Guber aveva vinto. O almeno era quello che doveva succedere, sennonché i burocrati della Federcalcio jugoslava annullarono la partita a causa di presunti errori procedurali, ovvero perché non furono giocati i supplementari.

Questa regola valeva solo a partire dai sedicesimi di finale, mentre prima si passava direttamente ai rigori. L’arbitro non ne era a conoscenza. Si decise di ripetere l’incontro. Fu fissata una nuova data e, nonostante un pubblico accorso in massa, il Guber fu sconfitto di misura per 2-1 e fu eliminato dalla competizione. 

Gli anni Novanta e la ripartenza

La storia del Guber che il Presidente ci ha inviato, dopo la partita con la Budućnost fa tutta una serie di valutazioni e ragionamenti su quali siano stati i maggiori traguardi, le persone che hanno contato per la squadra e chi, nonostante abbia dovuto lasciare la città, ha continuato a sostenere i colori anche dall’estero. Poi riprende con il 2004. Cercando di trovare le parole più educate e delicate che avevamo, spiegando che non cercavamo notizie morbose, abbiamo riscritto per sapere come quello che è successo negli anni Novanta ha condizionato l’attività della squadra. Abbiamo così scritto nuovamente al Presidente.

Guber - Formazione recente
Una formazione più recente del Guber

Siamo stati ignorati. Abbiamo nuovamente provato a chiedere, perché ritenevamo che fosse giusto, anche nei confronti di chi in quegli anni ha perso la vita, raccontare le storie dei calciatori che hanno attraversato quel decennio tremendo per la città. La risposta è stata molto meno garbata della nostra richiesta. Quando gli abbiamo fatto notare che eravamo d’accordo che avremmo inviato altre domande, ci ha detto di non averle ricevute. Quando le abbiamo inviate di nuovo, sono state ancora una volta ignorate.

Vogliamo però provare a condividere con i nostri lettori la spiegazione che ci siamo dati leggendo anche altri articoli comparsi su internet in diversi periodi. La squadra del Guber esiste, va avanti e mette insieme persone di etnie diverse in quanto squadra di calcio. Quando vanno in giro per la regione vengono offesi frequentemente sia i giocatori bosgnacchi, che i serbi accusati di giocare insieme al “nemico”.

La squadra non può essere il mezzo tramite il quale si supererà il trauma immenso che affligge quella città. È uno strumento per ricominciare a muoversi nella direzione della normalità. Probabilmente per un personaggio istituzionale non è ancora il momento di parlare di quei giorni. Era giusto che chiedessimo, proviamo a capire il perché della (non) risposta.

Oggi sono più di vent’anni che il “nuovo” Guber ha ripreso vita, l’ha fatto grazie al portiere di un tempo, Jusuf Maladzić, ma anche a Nermin Pašalić, che è stato giocatore professionista a Tuzla e che nel luglio del 1995 perse il padre. Si è fatto aiutare da un serbo, Drago Radović, a rimettere in piedi la squadra. Erano amici di infanzia e lo sono tuttora. Questa sorta di coppia simbolica ha messo insieme tutti i volontari che avevano a cuore il Guber e insieme hanno ripulito il campo dalle erbacce, provando a togliere anche i fantasmi di chi su quel terreno di gioco fu stipato nei giorni del genocidio, in attesa delle fine. 

Non è facile andare avanti. L’ambiente calcistico della regione è ostile, mancano i soldi. Ne servono tanti. Eppure queste condizioni avverse in qualche modo risvegliano la voglia dei ragazzi di Srebrenica di non gettare la spugna, di dimostrare attaccamento alla maglia, di lottare per il loro Guber, nonostante tutto. E per ora è più che sufficiente.

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Gianni Galleri
Gianni Galleri

Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.