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Le proteste in Serbia dopo l’ultimatum degli studenti

Dal crollo della pensilina della stazione di Novi Sad – ristrutturata “secondo gli standard europei” da un misterioso consorzio cinese – lo scorso 1° novembre sono trascorsi ben otto mesi. La tragedia ha tolto la vita a sedici persone, tra cui due bambini, segnando il principio delle imponenti manifestazioni antigovernative che dallo scorso autunno animano le strade e le piazze della Serbia. Proteste spontanee contro la fitta rete di corruzione e negligenza istituzionale che caratterizza l’autocrazia del presidente Aleksandar Vučić e del suo Partito Progressista Serbo (SNS), al potere dal 2012.

Proteste in Serbia
Un’immagine delle proteste in Serbia (Studenti della Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado)

Otto mesi di proteste in Serbia

Iniziate e guidate dagli studenti universitari, che nel frattempo hanno occupato le facoltà con l’appoggio dei professori, le manifestazioni si sono ben presto allargate a tutte le fasce della popolazione, raggiungendo picchi impressionanti. Elezioni anticipate, lotta alla corruzione, trasparenza delle istituzioni e dei processi decisionali, maggior libertà per i media non allineati, sono alcune delle rivendicazioni.

In trg Slavija, una delle principali piazze di Belgrado, sono scese oltre 100mila persone lo scorso 22 dicembre e ne sono transitate un milione il 15 marzo. Qualche settimana fa i collettivi studenteschi avevano annunciato per il 28 giugno nuove mobilitazioni di massa in tutto il paese: hanno radunato oltre 140mila persone nella sola capitale, a dispetto dei numeri al ribasso diffusi dagli organi dell’esecutivo.

La data scelta non è casuale, bensì tra le più significative per la cultura serba, in cui cadono vari anniversari: su tutti quello della battaglia di Kosovo Polje o della Piana dei Merli, quando nel 1389 l’esercito serbo combatté contro quello ottomano per difendere la propria indipendenza. Spesso strumentalizzato in ottica nazionalista, proprio per il 28 giugno alle ore 21 gli studenti avevano inoltre fissato l’ultimatum per l’accoglienza delle loro richieste, tra cui una tornata elettorale trasparente anticipata. Il mandato del corrente esecutivo infatti scadrebbe nel 2027.

Dopo l’ultimatum degli studenti

Dopo le ore 21 del 28 giugno la situazione nel paese è cambiata. Nella notte tra sabato e domenica la presenza della polizia si è fatta di colpo più intensa e non sono mancati alcuni scontri, specie nell’area antistante l’Assemblea nazionale, dove da marzo letteralmente campeggiano sedicenti “studenti che vogliono studiare”. Una costosa e grottesca trovata architettata dal governo e popolata da loschi e irascibili figuri, che le forze dell’ordine proteggono. La sera stessa del 28 giugno il presidente Vučić ha radunato lì i suoi sostenitori – condotti appositamente in pullman – in una goffa controprotesta dai toni beceri e populisti.

L’ultimatum è scattato nella totale noncuranza dell’esecutivo. Ignorate per l’ennesima volta le loro richieste, gli studenti hanno quindi rilanciato prospettando la costruzione di una reale alternativa capace di dare rappresentanza politica alle istanze delle piazze e dando il via libera a varie azioni di disobbedienza civile che stanno tuttora attraversando le principali città serbe. “La luce verde è scattata. Un caos decentralizzato e controllato”.

Già la sera del 29 giugno i cittadini sono scesi in strada bloccando tutte le principali arterie della capitale con delle barricate improvvisate, portando oggetti di qualunque tipo (stendini, sedie, pneumatici) e soprattutto spostando e rovesciando cassonetti della spazzatura, diventati il simbolo di questa nuova fase di mobilitazione. La risposta del governo, messa in atto dalla polizia, non si è fatta attendere: violenti cariche, arresti arbitrari, intimidazioni e riconoscimenti a tappeto.

Se però da una parte l’esecutivo non sembra più disposto a tollerare contestazioni, i cittadini serbi non sembrano intimoriti, anzi. I sit-in di blocco si sono ben presto trasformati in attraversamenti continui e massicci delle strisce pedonali dei principali incroci, sessioni di balli di gruppo in mezzo alla strada e in generale assembramenti meno statici e più “mobili”, al fine di evitare il reato di blocco stradale.

Nonostante gli arresti e i brutali interventi della polizia, le interruzioni alla viabilità proseguono ininterrottamente dal 29 giugno in varie città; a Belgrado la circolazione dei mezzi pubblici è al momento fortemente limitata se non del tutto sospesa. La promessa è che le azioni di disobbedienza civile proseguiranno fino a quando le richieste dei cittadini non verranno accolte. Una chiamata a nuovi, massicci e diffusi blocchi è stata indetta per la giornata di oggi, 4 luglio.

Verso la fine del regime di Vučić?

La copertura mediatica all’estero da un lato non può ignorare del tutto le proteste in Serbia, dall’altro spesso si limita a riportare le dichiarazioni del governo e della polizia del paese. Le poche testate che approfondiscono seriamente la situazione serba restituiscono invece l’immagine di un esecutivo sempre più traballante e soprattutto di un presidente alle battute finali, messo con le spalle al muro dai cittadini pacificamente insorti.

È di fondamentale importanza sottolineare che, nonostante le deliranti insinuazioni del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, secondo cui in Serbia stia andando in scena una presunta “rivoluzione colorata”, questa “primavera serba” ha sempre avuto carattere spontaneo. Anzi, a ogni allusione del genere che arriva dall’estero, così come in risposta al disinteresse generale dei principali tabloid e istituzioni internazionali, i manifestanti rispondono con l’ironia tagliente che da sempre caratterizza l’area. Un esempio è lo slogan mirno spavaj svete, nije tvoje dete (“dormi sereno mondo, non è tuo figlio”) sarcasticamente apposto sui video in cui le forze dell’ordine in tenuta antisommossa picchiano gli studenti.

L’impressione è dunque quella di essere ormai arrivati a un punto di svolta, con il governo davanti a un bivio: accontentare le piazze e indire nuove elezioni oppure reprimere ancora più duramente il movimento. Un’opzione quest’ultima che potrebbe innalzare ulteriormente il livello dello scontro. Con esiti imprevedibili.

In questa sezione tutti i nostri approfondimenti sulle proteste in Serbia

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Giorgia Spadoni
Giorgia Spadoni

Traduttrice e interprete. S’interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove si è laureata presso l’Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours. È autrice della guida letteraria “A Sofia con Georgi Gospodinov” (Giulio Perrone Editore).