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La talaka bielorussa in Italia. Intervista all’attivista Yuliya Yukhno

Solidarietà, aiuto reciproco e unione comunitaria: è questo il significato che contiene il termine bielorusso talaka e che Yuliya Yukhno, rappresentante dell’Ambasciata popolare della Belarus’ in Italia, ha scelto come nome per l’associazione dei bielorussi in Italia che ha fondato nel 2023 a Firenze e di cui è presidente.

Originaria di Minsk, Yuliya è una voce critica – e di conseguenza scomoda – che denuncia il governo di Lukašenka. Arrestata per aver indossato e distribuito braccialetti con i colori della bandiera bianco-rosso-bianca, uno dei simboli delle proteste antigovernative dell’agosto 2020, è finita nelle mani delle forze di sicurezza bielorusse, vivendo di persona la repressione del regime nel suo paese.

Dopo la fuga in Polonia nel 2021 e mille peripezie, Yuliya è riuscita a ottenere asilo politico in Italia; nell’aprile 2023 ha dato vita a Talaka, con l’obiettivo di offrire supporto ai rifugiati bielorussi in Italia.

Come ci tiene a ricordare, un aiuto importante per rimanere in Italia e proseguire la sua attività umanitaria Yuliya l’ha ricevuto dalla CISL. Oltre alla partecipazione a una quindicina di congressi regionali, Yuliya è anche intervenuta al XIX Congresso federale del maggio 2022.

In questi giorni abbiamo raggiunto Yuliya per porle qualche domanda sulla situazione attuale del suo paese e sull’attività della diaspora bielorussa in Italia.

Nonostante l’attenzione internazionale sia calata, soprattutto a causa dell’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, le associazioni per i diritti umani – come Viasna – continuano a registrare forti repressioni nel tuo paese e il numero dei prigionieri politici non accenna a diminuire. Come descriveresti la situazione politica e sociale in Belarus’ oggi, a cinque anni dalle proteste dell’agosto 2020? Esiste ancora una resistenza interna contro il governo di Aljaksandr Lukašenka, secondo te, anche se non visibile, o la repressione ha spento tutto?

La situazione è piuttosto complessa, ci si trova in una fase davvero difficile. Non si sente più la voce della resistenza a causa delle forti repressioni che, a distanza di ormai cinque anni, continuano imperterrite. La gente è spaventata, ha paura di finire nelle carceri bielorusse. Solo nella giornata di oggi [mercoledì 23 luglio 2025, ndr] sono stati nuovamente individuati venti prigionieri politici e il processo di rilascio – o di “perdono”, come lo chiamano sbagliando, visto che queste persone non hanno fatto davvero nulla, hanno magari messo un like, scritto un commento o semplicemente hanno voluto fare la differenza – procede a rilento.

In Belarus’ non c’è mai stata una resistenza armata; c’è sempre stato un movimento pacifico, e ciò è stato molto spesso definito come una nostra debolezza. Siamo sempre stati un paese pacifico e, probabilmente, meno “attivamente resistente” rispetto all’Ucraina.

Ma non mi piacciono questi paragoni, perché la nostra situazione è molto diversa da quella degli ucraini e non vale la pena mettersi a fare confronti, anche se inevitabilmente si tende a farli.

Al momento, il popolo bielorusso resiste, nonostante le repressioni. Abbiamo molte organizzazioni, associazioni umanitarie, culturali, tutte diverse, che continuano come possono a diffondere la lingua e la cultura bielorussa, i diritti umani, la parità di genere (e non solo), sindacati, ecc.

È vero che al momento quasi tutta la resistenza si trova in esilio, per ovvi motivi. Ma devo dire che questo non significa che le persone rimaste abbiano cambiato idea o abbiano smesso di resistere. C’è una resistenza, la cosiddetta resistenza partigiana. Non è visibile perché non è facile esporsi ed è molto difficile parlare oggi di una resistenza aperta. Le persone in esilio cercano di sostenere questa comunità che lotta rimanendo nel paese, perché non tutti possono andarsene e, soprattutto, non tutti vogliono farlo. Chi rimane è costretto a celare le proprie idee non conformi al governo, perché esprimerle vuol dire esporsi a un pericolo.

talaka bielorussa
Yuliya Yukhno alle proteste antigovernative
Sei presidente di Talaka, associazione dei bielorussi in Italia. Quali sono gli obiettivi principali della vostra associazione e in che modo supportate chi è costretto a fuggire dal paese oggi?

L’associazione prende il nome da un’antica tradizione bielorussa chiamata proprio talaka, che raccoglie il significato di solidarietà e aiuto reciproco. Ad esempio, quando la casa di un tuo caro va a fuoco, tutti si uniscono per aiutare questa persona, per darle una mano. Da noi questo gesto si chiama talaka. Ho riflettuto a lungo prima di scegliere come chiamare l’associazione dei bielorussi in Italia che ho fondato, e alla fine talaka ha vinto.

L’associazione Talaka si basa principalmente su tre attività prioritarie. La prima è la rappresentanza diplomatica e il lavoro con le istituzioni. La seconda è la legalizzazione dell’aiuto ai rifugiati. La terza è la parte umanitaria, che riguarda i progetti per i rifugiati, per i prigionieri politici e le loro famiglie, nonché per tutte quelle persone che combattono in Ucraina [sin dall’invasione russa su larga scala, molti bielorussi hanno deciso di combattere al fianco degli ucraini; sul piano militare, il reggimento Kalinoŭski è tra le forze più note, ndr].

Un altro punto essenziale è la diplomazia culturale, ovvero tutto ciò che riguarda la cultura bielorussa e la nostra identità, perché vogliamo far conoscere il nostro paese e far capire che siamo europei. Molto spesso, in Italia, le persone non ne sono convinte perché legano inevitabilmente la Belarus’ alla Russia o, ancora, all’Unione Sovietica.

Ci teniamo però a spiegare come stanno realmente le cose e a distinguerci dai russi, perché molto spesso, forse per via del nome del paese, ci si confonde. Infatti, Bielorussia (che deriva dal russo Belaja Rus’) era il nome utilizzato in epoca sovietica, che è stato cambiato con l’indipendenza del 1991. Ufficialmente oggi il paese si chiama Belarus’ e non Bielorussia, che agli occhi di molti ha una connotazione leggermente colonialista. Nonostante le difficoltà, cerchiamo anche in italiano di utilizzare Belarus’, proprio per sottolineare la nostra indipendenza culturale e politica.

Com’è cambiato l’impegno della diaspora in questi anni? Trovi che ci sia ancora partecipazione e mobilitazione?

La collaborazione e l’impegno delle associazioni presenti sul territorio italiano è cambiata nel tempo. A differenza di quanto accadeva nel 2020, alcune associazioni non sono più attive come prima, altre collaborano solo per eventi di natura culturale.

Talaka cerca principalmente di rappresentare l’intera comunità democratica bielorussa. Ci concentriamo su questo, è il nostro compito principale. Personalmente, non rappresento solo l’associazione, ma anche l’ambasciata popolare della Belarus’ in Italia, che opera parallelamente all’ambasciata ufficiale e governativa. Come rappresentante di questa ambasciata “alternativa” instauro relazioni con rappresentanti diplomatici in diversi paesi, con i politici italiani, con il mondo politico e diplomatico, con i ministeri e le varie istituzioni legate alla politica e alla diplomazia.

talaka bielorussa
Svjatlana Cichanoŭskaja, leader dell’opposizione, e l’ambasciata popolare a Roma (Yuliya Yukhno)

Oltre a tutto questo, l’associazione si occupa dei rifugiati politici. Con il passare del tempo, infatti, sono arrivate sempre più persone che chiedevano informazioni su come ottenere lo status di rifugiato. Io stessa sono una rifugiata politica. Proprio in questo periodo, quattro anni fa, sono stata arrestata a casa mia e portata alla sede delle forze di sicurezza bielorusse, il KGB. Quando poi sono riuscita a scappare dal paese e ho deciso di chiedere asilo in Italia, ho affrontato il difficile percorso di legalizzazione. Moltissime persone, come me all’inizio, non sanno gestire o risolvere alcune questioni, non sanno dove andare, non capiscono cosa sono i codici fiscali o la differenza tra prefetture, questure, comuni.  

Naturalmente a livello burocratico abbiamo moltissime difficoltà perché l’ambasciatore ufficiale non rilascia alcun documento, nessuna dichiarazione, e questo è un problema.

Cerchiamo però di offrire al meglio un supporto attivo per la legalizzazione e l’integrazione di queste persone. E questo è un obiettivo piuttosto ambizioso, perché significa offrire sostegno a livello di accoglienza, di ricerca del lavoro, ma anche linguistico, finanziario e, non da meno, psicologico. Sviluppiamo, ad esempio, progetti per portare i bambini rifugiati al mare, per dare loro la possibilità di riposarsi un po’ e di vivere come dei bambini, senza dover sempre risolvere miliardi di problemi che riguardano il loro status di rifugiati.

Collaboriamo anche con altri paesi, molto stretti, soprattutto come Ambasciata popolare attraverso la quale siamo presenti in ventiquattro paesi, quasi tutti europei. In caso di bisogno, possiamo sempre rivolgerci a una delle ambasciate o alle altre comunità della diaspora bielorussa.

Com’è cambiata l’informazione indipendente in Belarus’ in questi anni? Esiste ancora uno spazio per il dissenso, anche se in un certo senso “clandestino”?

Tutti i media sono governativi. L’unico modo in cui è possibile seguire qualcosa che non sia legato alla propaganda del regime è trovarsi all’estero o usare una VPN o simili. Ogni forma di dissenso viene punita, perciò direi che all’interno della Belarus’ non esiste più alcuna forma di resistenza a livello di informazione, purtroppo.

Dando uno sguardo all’Ucraina, che ruolo sta giocando la Belarus’ in questa guerra e come viene percepita questa situazione dalla popolazione bielorussa?

Se parliamo di Ucraina, noi, in quanto forze democratiche, cerchiamo di far passare il messaggio che il popolo bielorusso sta accanto a quello ucraino.

Devo dire, però, che in questi anni la propaganda russa in Belarus’ si è intensificata parecchio. Inoltre, ci sono ancora moltissime persone che hanno accesso solamente alla propaganda e all’informazione filtrata dal governo, e che credono ciecamente a quello che si dice alla televisione bielorussa. Quindi se in tv dicono che in Polonia non c’è da mangiare, i genitori chiamano subito i figli residenti in Polonia per chiedergli se hanno bisogno di cibo perché in televisione dicono così. Possiamo quindi solo immaginare il livello di propaganda che gira in televisione.

E sull’Ucraina, immagino, continueranno a dire che ci sono i nazisti e che gli ucraini devono essere liberati e salvati, o qualcosa del genere.

Non è assolutamente la maggioranza che la pensa così, anche se viene percepita come tale proprio dalla macchina della propaganda. I bielorussi continuano ad aiutare gli ucraini, i nostri combattenti continuano a sacrificare le loro vite in Ucraina e proviamo a fare quello che possiamo per la resistenza ucraina. Anche la nostra presidente eletta, Svjatlana Cichanoŭskaja, molto spesso rilascia dichiarazioni sul tema della guerra in Ucraina.

Dal canto suo, Lukašenka ha fatto la sua parte e questo non sarà dimenticato da nessuno. Tanti ucraini hanno capito il ruolo che ha svolto in questa guerra, anche se prima pensavano fosse un buon presidente, che la Belarus’ fosse un paese pulito, accogliente, dove tutto funziona; invece non è tutto a posto, è un bel quadro che fanno vedere, però dietro a quel quadro c’è tutt’altro, ed è la realtà.

In generale, posso dire che la maggioranza dei bielorussi è contro la guerra, lo è sempre stato.

In questo periodo stiamo provando a organizzare, con la comunità ucraina, una mostra che parlerà dei prigionieri politici bielorussi e ucraini che sono stati rapiti dalla Russia e anche della resistenza dei tatari di Crimea, che tendiamo sempre a dimenticare. Se non ne parliamo noi, nessuno lo fa. Anche perché la guerra non è iniziata nel 2022, ma molto prima.  

Concludo dicendo che Lukašenka ha avuto, e ha tuttora, un ruolo importante in questa guerra in Ucraina. Ad esempio, alcune armi russe vengono prodotte in Belarus’, ed è per questo che sono in vigore le sanzioni europee anche sul nostro paese. E si capisce subito che non sono state introdotte per le violazioni dei diritti umani, perché non esistevano fino almeno al maggio del 2021 con l’affare Ryanair, ed erano comunque deboli. Si sono intensificate dopo, quando Lukašenka ha letteralmente messo a disposizione il nostro territorio come piattaforma da dove (ri)cominciare l’aggressione e l’invasione dell’Ucraina.

Stiamo quindi cercando di contrastare anche tutta la propaganda, russa e bielorussa, che viene da Minsk e di sollevare la questione anche a livello europeo, per quanto possibile.

Come pensi verrà ricordato l’anniversario delle proteste del 2020, sia in Belarus’ che all’estero? Ci sono eventi previsti?

Come sempre, Talaka organizzerà una conferenza legata a quello che abbiamo fatto in questi cinque anni e che continueremo a fare. Però, certo, quest’anno sarà molto più importante.

In Italia in particolare, ma anche altrove, per la data del 9 agosto è complicato trovare persone che si interessino e siano disponibili a sostenere la causa perché sono tutti in vacanza, le amministrazioni sono quasi tutte chiuse. Probabilmente riusciremo a esporre la bandiera bianco-rosso-bianca o qualcosa di simile, per sensibilizzare la comunità italiana; ma non credo che quest’anno scenderemo in piazza a manifestare perché i bielorussi qui sono comunque terrorizzati in quanto ogni attività antigovernativa può rivelarsi una minaccia per chi ha i propri cari in Belarus’.

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Claudia Bettiol
Claudia Bettiol

Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraina” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.