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I peggiori serial killer nella Jugoslavia socialista

L’utopia socialista jugoslava, durante la sua storia, non è stata esente da macchie, da momenti in cui i suoi abitanti si sono sentiti in pericolo per minacce il più delle volte interne, che non esterne. Per quanto pochi siano stati, la Jugoslavia ha visto anche tra i propri confini il fenomeno dei serial killer, che hanno terrorizzato gli abitanti delle sue varie repubbliche.

Miodrag Stole Trifunović, il primo Fantasma di Belgrado

Il primo serial killer della storia della Jugoslavia socialista ha qualcosa di “leggendario” – non nell’accezione positiva del termine, s’intende. Di lui si sa poco e quasi nulla, come ad esempio la sua data di nascita. L’unica cosa certa di nostra conoscenza su Miodrag Stole Trifunović sono il suo luogo di nascita e alcuni dei suoi crimini efferati.

Trifunović nasce a Niš nei primi anni Venti e ha un’infanzia difficile, con un padre fedifrago alcolista: i comportamenti del genitore fanno nascere in lui una profonda misoginia che lo accompagnerà per tutta la vita. Il primo crimine commesso da Trifunović di cui si ha certezza avviene a 15 anni, quando violenta una ragazzina di soli dodici anni a Merošin, un paese poco lontano da Niš.

Alla fine degli anni Trenta la madre divorzia e si trasferisce con lui a Belgrado, dove Trifunović non ferma le sue pulsioni: molesta le ragazze sui tram della capitale e terrorizza le coppie del centro città. Inizia ad appostarsi nei parchi cittadini, dove segue le coppiette fino a un luogo appartato per poi aggredire i ragazzi con un bastone o una spranga e renderli csoì inoffensivi, il tutto seguito dalla violenza sessuale ai danni delle loro ragazze.

Nel 1941 c’è la guerra e anche a Trifunović arriva la chiamata per il fronte, ma lui finge di essere pazzo per evitare il servizio di leva militare e viene perciò internato al manicomio di Toponica nei pressi di Niš. Lì commette i suoi primi omicidi, uccidendo alcuni pazienti nel sonno per rubargli cibo e sigarette da dividere con dei sadici infermieri, i quali non fanno nulla per fermarlo.

Se ti interessa la storia del secondo Fantasma di Belgrado, la puoi trovare qui

Alla fine della guerra Trifunović torna a Belgrado, dove il 31 gennaio 1948 commette il primo assassinio nella capitale, quando violenta e uccide una donna di 33 anni, tale Milka K. (il cognome è rimasto ignoto). Il giorno dopo arriva la segnalazione alla polizia, quando un netturbino ritrova il cadavere. La donna è stata prima violentata e poi strangolata. La polizia inizia subito le indagini, senza però avere delle piste plausibili da seguire.

Una ventina di giorni dopo un pescatore rinviene nella Sava due buste con all’interno dei resti umani, appartenenti a Slavica Trifunović, 22 anni. La ragazza è la cognata di Stole Trifunović – sorella della moglie Seka, con la quale viveva a Zemun – e la sua scomparsa era stata denunciata alle forze dell’ordine solo qualche giorno prima. Il modus operandi è lo stesso: prima la violenza sessuale e poi lo strangolamento. La polizia continua con le proprie indagini, ma brancola letteralmente nel buio.

Trifunović continua a lasciare dietro di sé una tremenda striscia di sangue: solo nel 1948 a Belgrado vengono uccise 14 ragazze, sempre intorno al bosco di Zvezdara. Gli inquirenti, però, riescono a trovare una prima traccia quando, accanto al cadavere di una giovane di neanche diciott’anni (mai identificata, il killer aveva fatto sparire i documenti della vittima), trovano l’impronta di una scarpa.

Un secondo errore di Trifunović si verifica quando una donna va a denunciare alla polizia un’aggressione da parte di un uomo che, per ottenere la sua attenzione, le aveva detto di aver bisogno di aiuto perché sua moglie era gravemente malata.

Il terzo errore è quello fatale. Miodrag Stole Trifunović, oltre ad essere un pluriomicida, era anche un criminale, parte di una vera e propria associazione a delinquere specializzata principalmente in furti. I bottini venivano venduti nel fiorente mercato nero della Jugoslavia appena liberata. Per vendicare la denuncia di un furto subìto dal proprietario di una kafana, Trifunović decide di bruciare il locale, senza però cancellare le proprie impronte digitali dal fusto di benzina usato quella sera.

La polizia inizia a sospettare di lui: lo trova con indosso le scarpe che combaciano esattamente con l’impronta trovata sulla scena del crimine dell’omicidio della ragazza quasi maggiorenne. Trifunović viene messo con le spalle al muro e confessa tutto.

In totale sembrerebbe essersi dichiarato colpevole di una sessantina di omicidi tra gli anni dell’occupazione nazista e il 1948. Nell’attesa del processo, viene trovato morto nella sua cella con un panno spinto in una gola da una spranga e una barra di metallo conficcata nel cuore. Venne classificato come suicidio, cosa altamente irrealistica vista la forza necessaria per sfondarsi lo sterno da solo.

Ad oggi, non si sa se i crimini che Trifunović ha confessato siano stati effettivamente opera sua o fossero frutto della sua fantasia malata.

Metod Trobec, il mostro di Dolenja Vas

Il pluriomicida sloveno Metod Trobec (Wikipedia)

Un altro serial killer che ha terrorizzato il paese, ma del quale si sa molto di più, è lo sloveno Metod Trobec. Nasce il 6 giugno 1948 a Planina nad Horjulom, nell’Alta Carniola. La sua infanzia non è stata proprio semplice: da piccolo ha alcune difficoltà cognitive, non riuscendo a terminare le scuole medie a causa di problemi di apprendimento. Dopo la leva militare si trasferisce a lavorare per tre anni (dal 1971 al 1974) nella Repubblica Federale Tedesca, diventando un meccanico.

Al ritorno in Jugoslavia Trobec si stabilisce nel villaggio di Dolenja Vas pri Polhovem Gradcu, dove in quattro anni si sposa due volte e inizia la sua serie di omicidi. Il primo avviene nella primavera del 1976 quando offre alla diciottenne Vida Markovčič di fare un giro in moto dopo averla conosciuta in un bar di Lubiana. La porta nella sua casa di Dolenja Vas dove Trobec la pesta, la violenta e poi la uccide strangolandola. Il suo modus operandi rimarrà uguale, seguito anche dal disfacimento dei cadaveri e di alcuni effetti personali tramite un forno di pietra che aveva in casa.

Il 25 marzo 1977 Trobec incontra in un centro commerciale di Lubiana una pensionata di nome Marjana Cankar. Non si sa che cosa sia successo tra i due, ma si presume che la donna sia stata violentata e poi uccisa – il giorno stesso o l’indomani – nella casa di Dolenja Vas. Durante le indagini sull’omicidio furono rinvenuti il cappotto e una catenina d’oro parzialmente bruciata appartenenti alla vittima. Altri effetti personali furono invece rinvenuti in un’altra casa di proprietà di Trobec nel villaggio di Spodnja Bela.

Quasi esattamente un anno dopo – il 20 marzo 1978 – scompare la ventunenne Urška Brečko dai pressi della stazione ferroviaria di Lubiana. La madre ne denuncia la scomparsa il giorno dopo, scatenando le ricerche da parte sia delle autorità competenti che da alcuni cittadini preoccupati, che si spinsero a cercarla addirittura all’estero. Durante le indagini emerse che Brečko fosse stata presa da Trobec, portata nella sua casa di Dolenja Vas e lì uccisa.

Il quarto omicidio avviene poco dopo, sempre nella primavera del 1978, quando scompare l’operaia quarantatreenne Ana Plevnik. Trobec la uccide nella solita casa di Dolenja Vas, dove gli inquirenti ritrovano alcuni degli effetti personali della vittima, mentre i suoi vestiti vengono rinvenuti a Spodnja Bela.

L’ultima vittima è la trentatreenne Zorica Nikolić, una conoscente di Trobec, che scompare il 17 novembre 1978 mentre si reca a una visita medica. Viene uccisa da Trobec nella casa di Dolenja Vas, dove fu rinvenuta la mandibola di Nikolić nel forno che usava il pluriomicida per incenerire i cadaveri delle proprie vittime. Fu così che venne riconosciuta, tramite le sue impronte dentali.

L’errore che ha portato all’arresto di Trobec arriva nella fine del luglio del 1979, quando rubò l’auto di un turista tedesco, Hermann Lampenau, nei pressi del villaggio di Medno. Lampenau denunciò il furto, ma era determinato a recuperare la macchina da solo. Trovò Trobec all’autostazione di Kranj, il quale gli promise di ridargli l’auto e trovargli un posto in cui stare. Il pluriomicida lo portò vicino ad una foresta, dove pestò Lampenau e gli rubò il portafogli.

Un passante vide la scena e aiutò il turista tedesco a denunciare l’accaduto. I poliziotti arrestarono Trobec a Kranj e lo trasferirono immediatamente alla prigione di Radovljica. Gli inquirenti iniziarono le indagini sul suo conto partendo dalla casa di Spodnja Bela, dove iniziarono ad unire i puntini e a ricollegare a Trobec i cinque omicidi.

Tra il settembre e l’ottobre del 1980 iniziano i due processi ai danni di Trobec, il primo per la rapina nei confronti del turista tedesco, il secondo per gli omicidi delle cinque donne. Gli avvocati del pluriomicida usarono una linea di difesa secondo la quale le vittime fossero morte per motivi differenti: Markovičič per un’overdose, Cankar per una convulsione epilettica, Brečko soffocata per colpa di un boccone di cibo, Plevnik durante una crisi psicotica e Nikolić si sarebbe suicidata tagliandosi le vene dopo essere stata lasciata dal fidanzato.

La giuria non credette alla storia degli avvocati anche perché lo stesso imputato non dichiarò mai che le vittime fossero morte di “cause naturali”; inoltre fu riconosciuto che Trobec fosse incline a episodi violenti.

Il 25 novembre 1980 Metod Trobec viene condannato a morte dal tribunale regionale di Kranj per i cinque omicidi, diventando così l’ultima persona nella storia della Jugoslavia alla quale fu comminata questa pena. Trobec fa ricorso alla Corte Suprema, la quale ribalta la sentenza a causa di una “attenzione insufficiente riguardo alla presenza di schizofrenia e malattie mentali nella storia famigliare dell’imputato”.

Bisogna andare di nuovo a processo, che si apre il 2 settembre 1982 e si conclude 22 giorni dopo. La sentenza della giuria non cambiò, confermando la condanna a morte per Trobec. L’anno seguente, i suoi avvocati fecero appello all’Alta Corte di Lubiana per commutare la pena di morte: verrà condannato definitivamente a vent’anni di carcere.

Viene incarcerato nella prigione di Dob pri Mirni, nel comune di Slovenska Vas. È tutto fuorché un detenuto modello: tra il 1988 e il 1992 pugnala tre altri detenuti, incidenti per i quali – nel 2000 – gli furono comminati altri quindici anni di pena.

Nel 2001 fu brevemente trasferito in un carcere di Koper, per poi ritornare a Dob pri Mirni, dove alle quattro del mattino del 30 maggio 2006 fu ritrovato impiccato nella sua cella. Aveva 58 anni, aveva già tentato il suicidio una volta e molto probabilmente era malato di cancro alla prostata. Se fosse rimasto vivo, sarebbe uscito di galera tra il 5 e il 15 marzo del 2015.


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Tobias Colangelo
Tobias Colangelo

Laureato in Scienze della Comunicazione, si occupa principalmente di calcio e basket specificatamente nell'area balcanica, avendo vissuto in Serbia nel periodo tra agosto 2014 e luglio 2015. Ha collaborato da giugno 2020 a dicembre 2021 con la redazione sportiva di East Journal. É co-autore del podcast "Conference Call" e autore della rubrica "CoffeeSportStories" sul podcast "GameCoffee". Da agosto 2022, collabora con la redazione sportiva della testata giornalistica "Il Monferrato".