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Le isole Solovki: oasi religiosa e inferno sovietico

Solovki, Soloveckie, Solovetskie: le pluralità dei nomi con cui ci si può rivolgere a questo arcipelago sembrano riflettere la sua natura poliedrica e misteriosa.

Situato nella baia di Onega, quello delle Solovki è l’arcipelago più grande del Mar Bianco e dista soltanto 150 chilometri dal Circolo polare artico. La sua superficie totale ricopre 347 chilometri quadrati ed è costituito da sei isole principali, mentre molte altre minori rimangono ancora oggi senza nome. Fra le principali vengono annoverate Bol’šoj Solovki, l’isola Anzerskij, Bol’šaja Muksalma, Malaja Muksalma, Bol’šoj Zajackij, Malyj Zajackij e le isolette Sennye Ludy. La più grande, l’isola di Bol’šoj Solovkij, costituisce il centro più popolato e conta quasi 900 abitanti sui suoi 47 chilometri quadrati di superficie.

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Meta ambita

Nonostante la posizione remota e le piccole dimensioni, queste isole sono ancora oggi meta turistica ambita e oggetto di studio intenso da parte di archeologi e storici. La primissima forma di occupazione umana, infatti, risale al Mesolitico (V secolo a.C.). A quel tempo, le condizioni climatiche erano molto più favorevoli rispetto a quelle odierne. Durante il III secolo a.C. l’insediamento umano divenne ancora più stabile e organizzato: vennero costruiti villaggi, sistemi di irrigazione e luoghi sacri.

Proprio questi ultimi cominciano a rivestire un’importanza centrale all’interno delle isole Solovki. Sull’isola Zajackij, per esempio, si trova un complesso di monumenti religiosi e funerari con labirinti, tumuli e sepolcri. La stessa struttura è visibile anche sull’isola di Anzer, dove si possono ammirare labirinti e sepolcri in pietra. Grazie a questi reperti, gli archeologi sono stati in grado di recuperare informazioni riguardanti le condizioni climatiche e le variazioni della flora e della fauna. Fra i luoghi sacri, tuttavia, il più importante rimane il monastero di Solovki.

Il monastero delle isole Solovki

Oggi patrimonio Unesco, il monastero di Solovki è, come viene definito dalla stessa Icomos (International Council on Monuments and Sites), un “esempio di insediamento monastico nell’inospitale ambiente dell’Europa settentrionale che illustra ammirevolmente la fede, la tenacità e l’iniziativa delle comunità religiose del tardo Medioevo”.

Il monastero di Solovki comprende quello principale sull’isola Solovki, il monastero della Trinità sull’isola di Anzer, un complesso sull’isola di Zajackij e il monastero di San Sergio sulla Bol’šaja Muksalma. Il cuore dell’intero complesso è ovviamente il monastero di Solovki, che si divide in tre parti: una piazza centrale, con i suoi edifici monumentali, e un cortile settentrionale e uno meridionale dedicati alle attività domestiche e ai vari mestieri.

Accanto alla piazza centrale è situata la chiesa dell’Assunzione, in pieno stile di Novgorod, dotato quindi di refettorio e cantina. Si trovano anche la cattedrale della Trasfigurazione del Salvatore, il campanile, la chiesa di San Nicola e la cattedrale della Santa Trinità, di Zosimo e del Sabbath. Il cortile settentrionale include edifici di abile fattura, come il laboratorio delle icone, dei sarti e dei calzolai, i magazzini e gli alloggi. Il cortile meridionale, invece, presenta un fienile, un mulino, una lavanderia e dei bagni.

Le isole Solovki a 360°

Impegno monastico

Il monastero di Solovki è stato fondato durante gli anni Trenta del 1400 a opera di tre monaci, proveniente dal monastero di San Cirillo di Beloozero e dai monasteri di Valaam. Durante il XVI secolo sotto il regno di Ivan IV il Terribile, su invito del metropolita di Mosca Filippo II vengono fatte costruire strade, fattorie e industrie come quelle del mattone e della ceramica, e collegati diversi laghi per garantire acqua fresca agli abitanti delle isole Solovki.

Per questo motivo, da quel momento il monastero di Solovki diventa uno dei centri religiosi russi più importanti. Un secolo più tardi viene fortificato con una cinta in pietra, delle torri e un fossato, per difendere i monaci da eventuali attacchi delle truppe svedesi e danesi.

Durante lo Scisma della Chiesa ortodossa russa, i monaci di Solovki si ribellarono alle riforme del patriarca Nikon e cacciarono i rappresentanti dello zar dalle isole, innescando così il conseguente assedio da parte di Alessio I e del suo esercito, che durò ben otto anni, dal 1668 al 1676.

Le costruzioni di nuove fortezze continuano durante il XVIII e il XIX secolo. Sorge così una nuova roccaforte alla foce della Dvina settentrionale e vengono iniziate nuove attività come la pittura delle icone, l’intaglio del legno e la litografia.

I monasteri minori e distaccati, ubicate sulle isole più piccole, diventano in questo periodo dei fondamentali centri di scambio con le principali città russe. Questo portò alla modernizzazione del porto e alla costruzione di magazzini.

(Wikimedia Commons)

Lo Slon

Con l’arrivo della Rivoluzione russa, la vita sulle isole Solovki cambiò radicalmente: i monaci vennero cacciati e i luoghi sacri vennero profanati, diventando dei dormitori. La struttura dell’arcipelago impediva la fuga dei suoi abitanti: era il luogo ideale per diventare sede di un gulag.

I bolscevichi presero il potere e l’arcipelago divenne proprietà dello stato. Nel 1921 Lenin firmò un decreto tale per cui gli edifici del monastero sarebbero stati riconvertiti in campi di lavoro e le isole Solovki diventarono di fatto la “Fattoria di Stato Solovkij”. Le Solovki detengono il primato di essere il primo vero e proprio gulag, dove Lenin sperimentò l’installazione di campi di lavoro che poi si diffusero in tutto il resto del paese. La fattoria ebbe vita breve e chiuse nel 1923 per lasciare spazio a campi speciali di lavoro, asili politici e prigionieri. Dal 1929 in poi si trasformò in una prigione.

Il gulag delle isole Solovki portava il nome di Slon, acronimo per Solovkij Lager’ Osobogo Naznačenija (Campi di lavoro di Solovkij per scopi speciali). Questo nome lasciava spazio anche a molti giochi di parole, dal momento che in russo slon significa “elefante”. Lo scopo dello Slon era quello di isolare e far sparire dalla circolazione i principali opponenti politici dei bolscevichi.

Fin dall’inizio lo Slon era diviso in sezioni, situate non solo sull’isola principale ma anche su tutte le altre minori. I prigionieri venivano costretti a lavorare nell’estrazione e nella lavorazione della torba e del legno, nella pesca, nell’agricoltura, nella costruzione, nella produzione di beni di consumo e in fabbrica come manodopera.

Stazione medica dello Slon (Wikimedia Commons)

Verso la fine della prima metà del Novecento, i gulag delle isole Solovkij videro un declino. Il motivo principale era costituito dai progetti megalomani di Stalin, che aveva il desiderio di costruire un canale nel Mar Baltico. Le prigioni vennero utilizzate fino al 1939, quando vennero chiuse. Negli anni successivi, le isole furono utilizzate come base navale.

Dalla metà degli anni Settanta, le Solovki sono considerate un museo e una riserva naturale. Dopo la caduta dell’Urss, inoltre, i monaci tornarono sulle isole, restituendo al monastero la sua funzione originaria.

L’isola del Martirio

Il periodo Slon diede vita a numerosissime testimonianze letterarie, in primis Arcipelago Gulag. Nel suo romanzo, Aleksandr Solženicyn restituisce al lettore un’attenta descrizione del lavoro dei monaci per mostrare come fossero le isole prima dell’avvento dei gulag:

I laghi furono uniti da decine di canali. Tubature di legno portarono l’acqua lacustre al monastero. Con i secoli e i decenni apparvero mulini privati per i cereali, botteghe con segherie proprie, vasellame fatto nelle proprie officine, una fonderia, una fucina, una legatoria. […] Nel XIX secolo una diga di massi […], collocati in qualche modo sui banchi di sabbia, sbarrò il fiume Muksalma. […] La terra di Solovki risultò […] capace di nutrire molte migliaia di abitanti. Negli orti crescevano cavoli bianchi, sodi e dolci (i torsoli erano chiamati «le mele delle Solovki»). Vi crescevano tutti i legumi, e tutti di prima qualità; c’erano anche serre, persino rose.

Campo di prigionia numero 2 nelle Isole Solovki (Wikimedia Commons)

Accanto a Solženicyn, Jurij Brodskij dà voce ai terribili ricordi dei prigionieri del campo di lavoro. Nel suo libro Solovki. Le isole del martirio. Da monastero a primo lager sovietico (1998), riporta anche le memorie di Gavrila Gordon, recluso alle Solovki dal 1930 al 1931, riguardanti il loro clima rigido:

Solo di rado il Mar Bianco ghiacciava completamente… di solito intorno alle coste dell’isola e del continente si formava un banco compatto di ghiaccio di alcuni chilometri, cui seguiva la banchisa, uno strato di un metro-un metro e mezzo di ghiaccio finemente sminuzzato in cui si inserivano singoli blocchi di ghiaccio compatto, che si estendeva per una decina di chilometri. Tra le due lingue di banchisa appartenenti all’isola e alla terraferma c’era un braccio di mare abbastanza libero di circa venti chilometri, in cui naturalmente vagavano blocchi di ghiaccio isolati.

La traversata del mare d’inverno avveniva così: si mettevano in viaggio su due barche una ventina di uomini (in modo da potersi aiutare a vicenda). Tutti i partenti si assicuravano con delle cinghie e trascinavano le barche sul ghiaccio, possibilmente evitando, ma talvolta anche sgomberando le asperità che incontravano sul ghiaccio: la notte polare forniva luce a sufficienza per questo lavoro.

L’attraversamento della banchisa avveniva con un ingegnoso espediente marinaro: a prua delle barche si appoggiavano da entrambi i lati sulla banchisa delle lunghe assi, su cui saltavano i passeggeri con indosso una specie di calzamaglia di tela grossa che arrivava fin sotto le ascelle, e trascinando verso di sé l’orlo dell’imbarcazione la facevano scorrere fino alla poppa.

In questo modo naturalmente le assi sprofondavano nella banchisa, e chi ci stava sopra si trovava nell’acqua fino alla cintola. Dopo di che, saltati nuovamente dentro la barca, recuperavano le assi, fissate a delle corde, le riposizionavano a prua e tutto ricominciava da capo.

Le isole Solovki sono anche protagoniste ne Islands of Death (1953) Semen Pidhainy, Burns & MacEachern, e costituiscono la principale ispirazione di Lunedì inizia sabato (1965) dei fratelli Strugackij, dove compare la città immaginaria di Solovec. Qui è infatti situato l’Isstems (Istituto di ricerca scientifica e tecnologica per la magia e la stregoneria), in Carelia.


Foto di copertina: Wikmedia Commons

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Laura Cogo
Laura Cogo

Laureata in Lingue e letterature straniere a Milano con le tesi “Immagini gastronomiche nelle Anime Morte di N. V. Gogol’” e “Le dimensioni dell’individualismo e del collettivismo nella quotidianità in Russia e in Italia”, Laura Cogo è attualmente docente di lingua e letteratura. Collabora con Russia in Translation e Ilnevosomostro.