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Raising a flag over the Reichstag (Yevgeny Khaldei/wikipedia)
Uno dei pochi luoghi di Berlino dove all’inizio di maggio del 1945 c’era ancora una pietra sopra l’altra. In una capitale del morente Terzo Reich ridotta a un cumulo di macerie, l’ala riservata agli ufficiali della Wehrmacht della Pionerschule a Karlshorst rimaneva integra. Lì, l’8 maggio 1945, i vertici militari dell’Unione Sovietica decisero di far firmare la resa incondizionata delle forze tedesche in Europa.
Scuola e quartiere generale (nemico)
Nel 1936, nel pieno del processo di riarmo della Germania nazista, si decise di costruire a Karlshorst, quartiere orientale di Berlino, una scuola per militari. Un edificio centrale che serviva per lezioni e conferenze e quattro costruzioni più piccole utilizzate per l’alloggio dei soldati, per il comando e per gli ufficiali. Rimasto attivo fino alla primavera del 1945, a fine aprile, quando l’Armata Rossa era nel pieno dell’offensiva per conquistare Berlino. Il generale Nikolaj Bersarin, al comando della Quinta Armata, scelse la Pionerschule come suo quartiere generale, da cui diresse le sue truppe nell’ultima parte dell’offensiva.
Una scelta simbolica e politica
Il 30 aprile Adolf Hitler si suicida nel bunker della Cancelleria, nominando come suo successore l’ammiraglio Karl Dönitz. Il 2 maggio Helmut Weidling, capo della difesa di Berlino, firma la resa della capitale. Sul fronte occidentale i vertici militari tedeschi si incontrano a Reims, in Francia, con i rappresentanti degli Alleati occidentali, Gran Bretagna e Stati Uniti per trattare la resa. Vorrebbero una capitolazione solo con le truppe occidentali, una proposta che Dwight Eisenhower rifiuta, come si era deciso a Jalta e minaccia di continuare a bombardare la Germania.
Così Dönitz incarica Alfred Jodl, il capo del comando supremo della Wehrmacht, di trattare la resa incondizionata. L’accordo si conclude il 7 maggio 1945 e ha effetto dal giorno seguente, 8 maggio dalle 23.01, ora di Parigi e di Berlino. La resa incondizionata la firmano Stati Uniti, Gran Bretagna e l’Unione Sovietica, con il generale Ivan Susloparov, mentre la Francia sottoscrive la dichiarazione come testimone. Un documento che ha completo valore giuridico ma che per ragioni diverse non basta a britannici e sovietici.
I rappresentanti del Regno Unito vogliono che a firmare la resa incondizionata sia un alto ufficiale con responsabilità di comando, in questo caso Wilhelm Keitel. I vertici politici e militari dell’Urss, rappresentati dal generale Georgij Žukov, chiedono che il documento di Reims sia siglato anche dai comandanti delle singole armi della Wehrmacht e dal comando supremo. In più Iosif Stalin vuole organizzare una cerimonia separata anche perché si fida poco dei suoi alleati occidentali e soprattutto perché dal punto di vista simbolico e propagandistico la firma a Berlino, nella capitale del Terzo Reich sconfitto, è un colpo incredibile.
Il testo in ritardo
La cerimonia della firma è prevista per le 14 dell’8 maggio 1945 nella sala principale dell’ala riservata agli ufficiali della Pionerschule di Karlhorst, uno spazio di duecento metri quadrati che i sovietici hanno allestito requisendo mobili e tappati. Le strade che portano al luogo vengono addobbate con le bandiere. Tra chi aiuta a preparare un ragazzo originario della Saar, comunista fervente. Si chiama Erich Honecker.
Verso mezzogiorno sono arrivate da Tempelhof le delegazioni alleate, trasportate dai britannici, attese dagli inni nazionali e dal picchetto d’onore. Poco più tardi da Kiel, sede dell’ultimo governo del Terzo Reich, è arrivata la delegazione tedesca. Per loro nessun onore e il trasferimento in un edificio secondario dove gli viene servito un buffet freddo. Attenderanno quasi dieci ore. Manca la traduzione in russo della capitolazione di Reims e arriverà in tarda serata.
Firme e vodka
Quando manca poco alla mezzanotte Žukov convoca i suoi omologhi alleati nel suo ufficio prima di entrare tutti insieme nella sala principale. È passata la mezzanotte e oltre ai militari ci sono anche i giornalisti. Per ultima entra dalla porta secondaria la delegazione tedesca che viene fatto sedere in un tavolo laterale. Inizia il rituale delle firme. Ci vuole più o meno mezz’ora per completarlo.
Il testo della capitolazione dell’esercito tedesco (wikimedia)
Alle 00.43 la cerimonia è terminata e può iniziare la festa con champagne e vodka offerta da Žukov. I tedeschi sono accompagnati in un altro edificio dove mangiano in maniera frugale prima di partire per Flensburg. In Unione Sovietica la fine della guerra e la vittoria sarà annunciata nella mattinata del 9 maggio che in Urss sarà il “Giorno della Vittoria”, ventiquattr’ore dopo il resto del mondo.
Un luogo storico (ancora)
Il complesso di Karlhorst, diventata parte di Berlino Est, è rimasto ancora intatto con le sue facciate neoclassiche, tanto da essere sottoposto a vincolo. Tra il 1945 e il 1949 è stata la sede dello SMAD, l’amministrazione militare della zona di occupazione sovietica e lì il 10 ottobre 1949 la neonata Repubblica Democratica Tedesca ha acquisito la sua sovranità.
Nel 1967, nel cinquantesimo anniversario della Rivoluzione Russa, il luogo, che è rimasto intatto dal 1945, è diventato sede del “Museo della resa senza condizioni della Germania fascista nella Grande Guerra Patriottica”, nome che ha mantenuto fino a dopo la Riunificazione. Nel 1994 con la partenza delle truppe sovietiche dalla Germania il Museo è stato rilevato da una associazione russo-tedesca che nel 1995 ha creato il “Museo russo-tedesco”, dove una mostra permanente ricorda la guerra tra il Terzo Reich e l’Unione Sovietica e si parla anche dei rapporti nel dopoguerra.
Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.