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Il monumento ai vincitori del campionato sovietico (Matteo Borselli)
C’è stato un tempo, breve a dire il vero, in cui l’Armenia è stata il centro calcistico dell’Unione Sovietica. In quel momento, tutti gli appassionati di calcio da Leopoli a Vladivostok conoscevano il nome dell’Ararat Erevan. Ma l’Armenia è uno dei paesi post-sovietici dove la squadra che dominava ai tempi dell’Urss non è riuscita a trovare una continuità di risultati, venendo risucchiata in un tetro anonimato. Retrocessioni, rischio di fallimento e nuovi protagonisti hanno relegato la storica formazione a un ruolo da comprimaria.
La storia dell’Ararat Erevan
Eppure l’epopea della squadra che porta il nome del monte sacro per gli armeni merita di essere raccontata, nonostante il crollo degli ultimi anni. Il club fu fondato come Spartak Erevan. Ma nel 1963, in seguito alla salita al potere di Nikita Chruščëv e al conseguente “disgelo”, poté assumere il nome di Ararat Erevan, fino ad allora considerato troppo nazionalista e identitario. La vetta si trova oggi in territorio turco, ma ha sempre avuto un fortissimo valore simbolico per tutto il popolo armeno.
Lo stadio Hrazdan di Erevan (Meridiano 13/Aleksej Tilman)
Nel 1970 fu costruito il nuovo stadio, l’Hrazdan, che prende il nome da un fiume che scorre in città. L’impianto, che al tempo faceva quasi 80mila spettatori, dette una nuova identità alla squadra e la proiettò nel migliore momento della sua storia. Per capire la crisi odierna basti sapere che il club ha dovuto abbandonare lo stadio perché fuori portata per la prima divisione armena e troppo costoso per le casse societarie. A metà degli anni Sessanta la squadra tornò in prima divisione e vi rimase fino alla dissoluzione del campionato nel 1991. Anche grazie al supporto del nuovo stadio, collezionò un titolo di campione (1973), due secondi posti (1971, 1976) e due coppe nazionali (1973, 1975).
La sfida con i Campioni del Mondo
Nella stagione 1974-75 partecipò alla Coppa dei Campioni, raggiungendo i quarti di finale, dove affrontò il Bayern Monaco. La squadra tedesca poteva annoverare nella sue fila diversi campioni del Mondo in carica (Sepp Maier, Franz Beckenbauer, Hans-Georg Schwarzenbeck, Hans-Joseph Kapellman, Uli Hoeneß, Gerd Müller), mentre per i sovietici era la prima partecipazione alla più importante manifestazione europea.
Sulla panchina dell’Ararat si era accomodato da inizio stagione uno dei più importanti allenatori dell’epoca sovietica, Viktor Maslov, leggenda della Torpedo Mosca e della Dinamo Kiev. Jonathan Wilson nel suo libro La Piramide Rovesciata gli attribuirà la nascita del calcio moderno, grazie all’introduzione del 4-4-2 e del concetto di pressing.
Il mister si presentò all’Olympiastadion di Monaco con una formazione molto accorta e coperta. Fu una serata epica per i colori del piccolo Ararat, che grazie al proprio portiere Alyosha Abrahamyan, e a un po’ di fortuna, resistette agli attacchi dei bavaresi, capitolando solo nel finale per due reti a zero.
Il ritorno a Erevan
Quindici giorni dopo, a Erevan, i numeri ufficiali delle presenze allo stadio segnalavano 70mila spettatori, tuttavia gli standard di sicurezza del tempo non erano così stringenti come oggi e la struttura era piena in ogni ordine di posto, tanto da far supporre una presenza reale di quasi 100mila persone.
C’è una leggenda ambientata nel tunnel che dagli spogliatoi porta al campo. I protagonisti sono i due capitani. Sembra che Franz Beckenbauer, colpito dall’ambiente e pensando di fare cosa gradita al suo omologo sovietico, fece un gesto per dire “facciamo 0-0”: noi passiamo e voi fate bella figura davanti a tutta questa gente. Al che, ma siamo sempre nel campo della leggenda, Hovhannes Zanazanyan, capitano sovietico, fece capire al tedesco che no, loro la partita se la sarebbero giocata e l’avrebbero anche vinta.
E così fu, con il vantaggio al 34esimo minuto, grazie ad Arkadiy Andreasyan che staccò di testa proprio in faccia al grande Kaiser Franz. Nonostante la spinta del pubblico, il risultato rimase 1-0 e fu sufficiente ai bavaresi per passare il turno e raggiungere prima la semifinale e poi la finale, dove avrebbero trionfato contro il Leeds United, facendo registrare una e una sola sconfitta in tutto il torneo: quella in terra caucasica.
La leggenda che non muore, forse
Oggi fa sorridere anche solo immaginare il capitano del Bayern Monaco che propone il pareggio al capitano di una squadra armena. E lo fa, a maggior ragione, pensando che l’Ararat lotta per sopravvivere in prima divisione, mentre una nuova formazione, l’Ararat-Armenia è arrivata dal nulla a scippargli anche il nome (e anche la Uefa confonde le due squadre). Eppure la statua che si trova fuori dallo stadio Hrazdan, lungo la strada che porta al memoriale del genocidio armeno, racconta ancora oggi a chiunque si fermi, la leggenda di quella squadra che divenne campione dell’Unione Sovietica: l’Ararat Erevan.
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.