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Alta tensione tra Albania e Iran

Il 7 settembre l’Albania ha deciso di interrompere immediatamente le relazioni diplomatiche con l’Iran. Il motivo è l’attacco cibernetico portato avanti lo scorso 15 luglio da ben quattro gruppi di hacker iraniani nei confronti dello Stato albanese. La decisione è stata presa dal premier Edi Rama dopo aver presentato i risultati di un’inchiesta condotta in questi mesi dall’intelligence con il supporto dell’FBI e di Microsoft. Il rapporto presenta “prove inconfutabili” del coinvolgimento diretto del governo di Teheran nell’attacco, considerato una rappresaglia per un altro attacco condotto da Israele e dai Mujahedin-e Khalq (MEK) nei confronti dello Stato iraniano.

Rama aveva dato 24 ore di tempo al personale dell’ambasciata iraniana per lasciare la struttura. Secondo alcune notizie riportate dopo una perquisizione degli uffici da parte della polizia, i dipendenti avrebbero bruciato una serie di documenti prima di lasciare i propri uffici.

Intanto sabato, Rama e il ministero dell’Interno hanno denunciato un secondo attacco informatico condotto venerdì contro i sistemi della polizia nazionale che ha costretto le autorità a bloccare anche le reti di porti, aeroporti e posti di frontiera.

irana-albania
Ambasciata iraniana a Tirana

Le reazioni

Per Rama l’obiettivo dell’attacco era “la distruzione dell’infrastruttura digitale del governo nonché il furto di dati e comunicazioni elettroniche dei sistemi governativi”. Alla luce di ciò, la decisione di interrompere le relazioni diplomatiche tra i due paesi è stata “proporzionata alla gravità e al pericolo posti dall’attacco informatico”.

Sulla vicenda sono intervenuti direttamente anche la Casa Bianca e la Nato. Tirana infatti può contare ormai da anni su un rapporto privilegiato con Washington e con l’Alleanza Atlantica, di cui è membro dal 2009. Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, ha avuto un contatto telefonico con Rama in cui ha ribadito il sostegno degli USA all’alleato dichiarandosi pronto a intraprendere ulteriori azioni.

Base aerea di Kuçovë (Albania), dove dovrebbe sorgere la futura base NATO (Wikipedia)

Dure parole di condanna sono arrivate anche dalla Nato che in un comunicato stampa ha parlato di “attività informatiche dannose progettate per destabilizzare e danneggiare la sicurezza di un alleato e sconvolgere la vita quotidiana dei cittadini”.

Da parte sua, il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Islamica dell’Iran ha rilasciato una dichiarazione in cui “condanna fermamente l’azione anti-iraniana del governo albanese” considerando la scelta di interrompere i rapporti diplomatici come “un’azione sconsiderata e miope nelle relazioni internazionali”.

I precedenti

Le tensioni tra i due paesi non nascono certo in questi giorni ma registrano già da anni una lunga scia di episodi controversi. Non è infatti la prima volta che Rama decide di espellere l’ambasciatore iraniano dal paese. Era già successo nel 2018 quando due diplomatici iraniani erano stati accusati di progettare un’azione terroristica durante una partita di calcio tra la nazionale albanese e quella israeliana.

Un ulteriore peggioramento dei rapporti avvenne nel novembre 2019 in seguito alla partecipazione attiva di Tirana alla cosiddetta “Operazione Sentinella”. Una missione navale condotta insieme a Stati uniti, Bahrein, Arabia Saudita, Regno Unito e Australia volta a impedire aggressioni dell’Iran contro petroliere e mercantili stranieri nelle acque del Golfo e del Mar Arabico. In quel periodo infatti, Teheran era stata accusata di aver condotto attacchi militari con droni ad alcune petroliere saudite nel Golfo.

L’escalation portò al bombardamento iraniano di una base militare statunitense in Iraq cui gli Usa risposero uccidendo, il 3 gennaio 2020, il noto Generale Qassem Soleimani. Nello stesso periodo si svolgevano in Iran alcune manifestazioni contro il regime dell’Ayhatollah Khamenei che accusò un “piccolo e malvagio paese europeo” di sostenere i manifestanti, con un indiretto riferimento all’Albania. L’allora presidente della Repubblica Ilir Meta rispose sottolineando come il suo non fosse un “paese malvagio ma democratico che non ha paura di ribadire il proprio sostegno all’alleato statunitense e alla NATO nella lotta al terrorismo internazionale”.

Sempre nel gennaio 2020, il governo albanese decise di espellere altri due diplomatici iraniani per “per attività incompatibile con il loro status diplomatico”, un’espressione spesso usata nei casi di spionaggio.

I Mujahedin-e Khalq

Questi duri scontri diplomatici hanno un’unica origine: la presenza nel paese balcanico di una base operativa del gruppo di opposizione iraniano dei Mujahedeen-e-Khalq (MEK).

Il MEK venne fondato nel 1965 da tre intellettuali iraniani (Mohammad Hanifnejad, Saeid Mohsen e Ali Asghar Badizadegan). L’Organizzazione si poneva come obiettivo il rovesciamento dello Shah Mohammad Reza Pahlavi e la creazione di un paese basato sui principi dell’Islam democratico. Nei primi dieci anni di vita, i loro leader furono perseguitati e uccisi dal regime. A partire dal 1976, grazie alla guida di Massoud, il MEK assunse un ruolo attivo nelle proteste che portarono alla Rivoluzione del 1979. Con la svolta fondamentalista intrapresa dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini, l’Organizzazione continuò a operare come gruppo politico di opposizione di ispirazione marxista e anticapitalista, pagandone le spese in termini di carcerazioni e omicidi. Nel 1986, durante la guerra tra Iran e Iraq, gli appartenenti al MEK supportarono il regime di Saddam Hussein che offrì loro soldi e una base militare chiamata “Ashraf”.

Simbolo del MEK (Wikipedia)

Nel 1997 il MEK venne inserito nella black list delle organizzazioni terroristiche e nel 2003 venne completamente disarmato grazie ad un accordo con gli Stati Uniti. In questi anni il movimento ha del tutto abbandonato le proprie posizioni marxiste per concentrarsi nella lotta contro il governo di Teheran, ottenendo in questo modo il sostegno di Stati Uniti e Israele. Nel suo programma il MEK sostiene l’abolizione della pena di morte, la separazione tra religione e stato, la piena parità dei sessi, il riconoscimento della proprietà e degli investimenti privati e dell’economia di mercato. A livello interno si dichiara favorevole ad un Iran non nucleare e democratico.

Nel 2012, l’amministrazione Obama decise di escluderlo dalla black list e di favorire, con l’aiuto dell’Unhcr, la ricollocazione dei suoi membri in un altro paese. Qui entra in gioco l’Albania. L’allora primo ministro e leader del Partito Democratico Sali Berisha, sconfitto elettoralmente poco dopo da Edi Rama, si dichiarò interessato ad ospitare sul proprio territorio i circa 3.500 membri del MEK.

Oggi, nel villaggio di Manez a circa una trentina di km da Tirana, sorge il campo “Ashraf 3” vera e propria base operativa del gruppo. L’inaugurazione del campo Ashraf 3, avvenuta in pompa magna con la partecipazione dell’ex sindaco di New York e avvocato di Donald Trump, Rudolf Giuliani, è stata seguita dall’organizzazione della conferenza internazionale “Free Iran” che tra il 2004 e il 2018 si svolgeva a Parigi.

Durante la convention del luglio 2019, il leader conservatore Sali Berisha parlò nel suo discorso sul MEK come “la speranza della nazione” iraniana dichiarandosi felice di aver preso la decisione giusta nell’accettare la creazione del campo Ashraf 3 nel proprio paese e sostenendo che “l’Albania deve espellere ed espellerà qualsiasi rappresentante ufficiale dei mullah”. Nonostante il sostegno offerto al MEK e il lavoro svolto per portare l’Albania nella Nato, i rapporti tra Berisha e gli Stati Uniti negli ultimi anni si sono rapidamente deteriorati fino alla dichiarazione di “persona non grata” nei confronti del politico albanese da parte del Segretario di Stato USA Antony Blinken nel maggio 2021 in seguito al suo coinvolgimento in alcuni gravi casi di corruzione.

Museo all’interno del campo di Ashraf 3 (MEK)

Al di là del seguito del MEK in Iran, considerato piuttosto limitato, e sui dubbi sulla sua reale aderenza agli ideali democratici, messa in discussione dalle denunce di alcuni fuoriusciti, il sostegno ricevuto dai governi albanesi negli ultimi anni è apparso come una chiara scelta di campo sulla questione iraniana. Il forte supporto, anche da un punto di vista prettamente materiale, nei confronti di un gruppo di opposizione non può che provocare la dura reazione di Teheran che allo scontro aperto e diretto preferisce quella che viene ormai definita “guerra cibernetica”, basata sull’intercettazione, l’alterazione e la distruzione dei sistemi di comunicazione e di raccolta dati dei nemici.

Al momento l’Iran non sembra aver intenzione di rispondere politicamente all’azione diplomatica albanese ma non è escluso che nei prossimi mesi continuino gli episodi di spionaggio e attacchi cibernetici nei confronti delle istituzioni albanesi. Di certo, quella tra Iran e Albania non sembra una relazione destinata a normalizzarsi nell’immediato futuro.

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Marco Siragusa
Marco Siragusa

Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.