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La Bosnia di Abdulah Sidran: “Nuove poesie 1996-2006”

di Sara Verghi*

Considero un privilegio l’essermi misurato con la splendida originalità del suo modo di fare poesia, efficace e spesso improvvisato nelle varie circostanze, come quello degli antichi aedi, e, per fargli una sorpresa e un regalo di compleanno un po’ anticipato, ho proposto all’editore di mettere su questa piccola antologia dei suoi testi.

Così scrive Silvio Ferrari in quella che egli stesso definisce nota di presentazione di Abdulah Sidran Nuove poesie 1996-2006, edito da L’Amico Ritrovato. La casa editrice genovese ha pubblicato nel mese di dicembre dell’anno passato questo breve, ma preziosissimo volumetto di settantotto pagine che raccoglie, oltre alla già menzionata nota introduttiva di Ferrari, una conversazione tra Abdulah Sidran e Piero del Giudice e una raccolta di poesie inedite del poeta bosniaco, recentemente scomparso. 

Sidran non è stato solamente un grande poeta, non solo di fama nei paesi dell’area ex-jugoslava, ma sicuramente uno dei massimi poeti dell’era contemporanea. E non è stato solo un poeta, sicuramente è conosciuto dal grande pubblico come sceneggiatore di due celebri film di Emir Kusturica: Ti ricordi di Dolly Bell?, film esordio e vincitore del Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia nel 1981 e Papà… è in viaggio d’affari, che quattro anni dopo fu premiato con la Palma d’oro al 38° Festival di Cannes.

Sidran era anche scrittore, ma in Italia era conosciuto come poeta grazie ad altri volumi già pubblicati e tradotti da Silvio Ferrari: La bara di Sarajevo, a cura di Piero Del Giudice (Edizioni E, 1993), A Zvornik ho lasciato il mio cuore (Edizioni Saraj, 2006), Il cieco canta alla sua città (Edizioni Saraj, 2006) e Il grasso di lepre (Casagrande editore, 2010). 

Abdulah Sidran (Wikimedia)

Purtroppo l’immenso Avdo, così veniva soprannominato, si è spento lo scorso 23 marzo, lasciando un grande vuoto nella sua famiglia, nella sua città e in chiunque lo abbia conosciuto sia personalmente sia attraverso la sua arte. Un’arte di carattere squisitamente naïf, come lui stesso ammette nella conversazione con Piero del Giudice:

Naïf vuol dire appunto ingenuo. Nel senso che io faccio una separazione di carattere strutturale all’interno della professionalità del poeta: c’è in altri termini un poeta doctus e un poeta vate. E io mi sento in questo caso un poeta vate, ossia qualcuno che funziona come medium.

Abdulah Sidran e Sarajevo

Vi è un passaggio nella prefazione di Erri De Luca a Chi ha fatto il turno di notte, raccolta di poesie di un altro grande poeta sarajevese Izet Sarajlić che descrive magistralmente la grandezza morale, propria sia di Sarajlić che di Sidran:

Eppure credo che un poeta debba diventare un membro di famiglia e non restare l’autore di versi pubblicati. Eppure credo che un poeta paghi i suoi versi con la vita svolta. In un poeta cerco, esigo che la sua vita sia all’altezza della sua pagina. […] Da un poeta invece non possono uscire buone righe se la sua esistenza non è stata strigliata al fiume da una spazzola di ferro. Perciò il 1900 è stato secolo da poeti. Perciò Izet Sarajlić doveva essere maestro di lealtà civile restando a Sarajevo fino all’ultimo giorno di malora.

Come Izet Sarajlić, Sidran non lasciò la sua città durante quei 1.425 giorni di assedio. Nel pieno di quei giorni interminabili il poeta vate continuò ad esprimere l’autentico spirito cosmopolita, aperto ed accogliente della sua città:   

E mentre Karadžić sostiene che noi non possiamo vivere insieme, il mio sentimento mi suggerisce, al contrario, che noi non possiamo vivere gli uni senza gli altri. […] Del resto lei mi è testimone, in questa casa ogni giorno passano anche venti persone, uomini e donne, di ogni nazionalità. E io non chiedo a nessuno da dove etnicamente proviene, e talvolta non lo conosco neppure. In questo la poesia è l’unica realtà concreta. Anzi questo è certo, dove non si può arrivare con la ragione, lì si arriva attraverso la poesia e i sentimenti

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Sentimenti e poesie che terranno vivi eternamente frammenti di quotidianità vissuti da Sidran in prima persona e che troviamo in questo volumetto insieme ad eventi storici che hanno segnato la Bosnia e tutta l’area ex-jugoslava. Nelle poesie di questa raccolta passato e presente si avvicendano, così come la voce di Sidran, che è dolorosamente tragica (Le lacrime delle madri di Srebrenica) o bonariamente ironica e il lettore partecipa alla scena descritta come se fosse ospite a casa di Sidran:

Si riproducono le api in casa mia 
Su un grande libro bianco
Nel quale Safet Zec, pittore di Bosnia 
Ha raccolto le sue meste incisioni
E i mie scritti in versi,
di un tempo, quasi profetici.
[…]
Non so proprio cosa fare,
come toglierle, o come non toglierle
quella cella, che sta crescendo sulla copertina
e somiglia sempre più – alla torre di Babele?

La semplicità del linguaggio, la varietà tematica dei suoi componimenti e quel senso di pacifica e fraterna umanità che permea tutta l’opera artistica di Sidran sono il lascito prezioso che oggi, così come già lo era durante la sua vita, lo rende uno dei più grandi artisti del nostro tempo. A questi si aggiunge quel senso dello humour squisitamente bosniaco che caratterizzava sia le sceneggiature che egli scrisse, sia le sue poesie.

Il lettore si sente, così, partecipe in una maniera così inusuale, ma estremamente viva: il poeta vate diventa così un caro amico che non ci illude raccontandoci di un passato nascondendoci ciò che non vorremmo sapere né ascoltare, ma ci ricorda anche che la vita è fatta di mille sfumature e che da momenti di serena quotidianità possiamo trarre piccole perle e gioiose epifanie. 

Prima del suo ottantesimo compleanno, il poeta vate è spirato, lasciando un vuoto profondo sia nella sua Sarajevo che in tutti quelli che lo hanno conosciuto ed amato, anche solo attraverso le sue opere. Questo volume permette di conoscere la più recente e più attuale voce di Sidran e le poesie che lo compongono sono un testamento disponibile per chiunque lo voglia ricordare e celebrare. 


* Insegnante e traduttrice, si interessa a tutto ciò che riguarda l’Est Europa, in particolare la letteratura. Collabora dal 2021 con Est/ranei. Russista di formazione e balcanista per passione, crede che costruire ponti interculturali sia una missione in cui vale ancora (e sempre) la pena credere. Andrić docet!  

Nuove poesie 1996-2006, Abdulah Sidran, traduzione di Silvio Ferrari, L’Amico Ritrovato, 2023

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Redazione
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