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Aleksandăr Stambolijski nel suo ufficio (Wikimedia/Bulgarian Archives State Agency)
Un giorno di metà giugno del 1923 lo zar di Bulgaria Boris III si vede recapitare uno strano pacco, una scatola di biscotti in metallo. Dentro però non ci sono né manicaretti, né il tanto temuto kit da cucito che ha amaramente sorpreso molti di noi nei giorni d’infanzia trascorsi a casa dei nonni. Accompagnata da un biglietto che recita “Sire, ci abbiamo pensato noi”, il monarca trova con orrore all’interno la testa decapitata di un uomo. È quanto rimane dell’ex primo ministro Aleksandăr Stambolijski.
Chi è Aleksandăr Stambolijski?
Facendo due passi nella capitale bulgara lungo via Georgi Rakovski, non lontano dalla celeberrima cattedrale di Aleksandăr Nevski, davanti al teatro d’opera e balletto nazionale si nota una grossa statua che ritrae un uomo baffuto e robusto sul lato destro della facciata. Fattezze e collocazione potrebbero indurre l’ignaro turista a pensare che sia un tenore. Si tratta invece di una figura chiave della scena politica del primo Novecento bulgaro, Aleksandăr Stambolijski, tra i fondatori dell’Unione nazionale agraria bulgara (BZNS).
Il monumento non si trova lì per caso, bensì sorveglia l’ingresso della sede del partito, che condivide l’edificio con il teatro: autore dell’intero complesso è infatti l’architetto Lazar Paraškevov, amico del futuro primo ministro.
Il monumento di Stambolijski a Sofia (Meridiano 13/Giorgia Spadoni)
Nato nel 1879 a Slavovica, vicino Pazardžik, Stambolijski studia filosofia e agronomia a Monaco di Baviera, per poi rientrare in Bulgaria e prendere parte alla creazione dell’Unione nazionale agraria bulgara nel 1899. Subito dopo l’agognata indipendenza dall’Impero ottomano nel 1878, il paese balcanico è a vocazione prettamente rurale, con gli agricoltori a costituire i quattro quinti della popolazione. Gli sforzi del governo vengono però riposti principalmente nella modernizzazione dello stato, investendo nello sviluppo delle città, delle infrastrutture e dell’industria, e lasciando indietro il settore primario, che decide quindi di organizzarsi, anche a fronte della minaccia di nuove tasse.
Nel 1901 il BZNS diventa un vero e proprio partito, nel 1905 Stambolijski ne è de facto il capo e nel 1908 viene eletto in parlamento per la prima volta. Antimonarchico, ispirato dal marxismo, vede nella società agricola della propria nazione l’essenza dei valori tradizionali bulgari, per cui aspira alla liberazione dallo sfruttamento dei proprietari terrieri e l’ottenimento dei pieni poteri. Profondamente contrario alla partecipazione della Bulgaria alle guerre balcaniche prima e al primo conflitto mondiale poi, in un celebre discorso del 1914 dichiara con veemenza:
In un momento come questo, in cui i nostri fratelli slavi del sud sono minacciati, io non sono né un bulgaro né un serbo, io sono uno slavo del sud!
Dal carcere al parlamento (di nuovo)
Stambolijski si schiera quindi apertamente contro lo zar Ferdinando I di Sassonia-Coburgo-Gotha, che spinge invece affinché la Bulgaria entri in guerra a fianco della Germania, e lascia presagire con i suoi moniti un’altra delle sue ambizioni: costruire una federazione balcanica che unisca e fortifichi la regione al di sopra delle singole identità nazionali. Nel 1915 viene condannato al carcere a vita dal monarca. Non ci rimarrà per molto.
Tre anni dopo, quando è ormai evidente che il paese ha scelto il fronte sbagliato, Stambolijski viene inviato a Radomir, non lontano da Sofia, dove un gruppo di soldati bulgari è insorto. Invece di negoziare con gli ammutinati, però, ne diviene la guida. La rivolta è in poco tempo brutalmente soffocata, e Stambolijski si dà alla macchia.
Nell’ottobre 1918, poco prima della fine della Prima guerra mondiale, estremamente rovinosa per la Bulgaria, Ferdinando I abdica in favore del figlio Boris. I soldati ribelli vengono condonati e il capo del BZNS torna a essere parte integrante della vita politica del proprio paese.
Nel 1919 è ministro in un governo di coalizione che tenta disperatamente di salvare la Bulgaria dall’imminente crisi politica ed economica, e di negoziare gli accordi di pace. L’esecutivo però fallisce e in agosto le elezioni decretano Aleksandăr Stambolijski in quanto nuovo premier.
Il 27 novembre dello stesso anno si reca in Francia, a Neuilly-sur-Seine, per firmare l’umiliante trattato omonimo secondo cui la Bulgaria è tenuta a cedere ingenti porzioni del territorio nazionale (Tracia occidentale e Dobrugia meridionale), ridurre le forze di difesa a poche decine di migliaia di unità, riconoscere l’esistenza del Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni e pagare 400 milioni di dollari di risarcimento. Pare che dopo la firma il neo primo ministro bulgaro abbia spezzato con rabbia la penna.
Il trattato di Neuilly – la firma di Stambolijski è la penultima (Wikimedia/Bulgarian Archives State Agency)
Democrazia o dittatura?
Facendo leva sulle catastrofiche conseguenze delle politiche militari precedenti, Stambolijski appronta riforme radicali per il paese: ridistribuisce le terre in eccesso alle migliaia di rifugiati riversatisi nel paese, nazionalizza alcuni impianti industriali, rende l’istruzione per i maschi dai 7 ai 14 anni obbligatoria e gratuita, inaugura nuove scuole.
L’antagonismo nei confronti del ceto medio, dell’intelligentsia, del clero e delle forze armate è però totale. Gli stipendi di insegnanti e professori vengono ridotti, le attività degli ufficiali strettamente sorvegliate e alcune proprietà della chiesa espropriate. A garantire il controllo sul numero crescente di oppositori, che dal 1922 include anche i comunisti, vi è inoltre una vera e propria organizzazione paramilitare, la Guardia Arancione (colore simbolo del BZNS). Un anno prima viene istituito un ente cospirativo dall’eloquente nome “Comitato per la dittatura agricola”.
Stambolijski si guadagna inoltre ancora più nemici con la sua politica estera. In linea con quanto professato nel 1914, le sue intenzioni sono di normalizzare i rapporti con la futura Jugoslavia, senza però curarsi di affrontare la questione macedone. Questo suscita il malcontento dell’Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone (VMRO), che nel primo dopoguerra ha come obiettivo l’indipendenza della Macedonia, passata dal controllo di Sofia a quello di Belgrado e da una forzata bulgarizzazione a un altrettanto severa serbizzazione.
Nel frattempo l’Organizzazione si è difatti tramutata in una struttura estremista che esercita forte influenza sulla politica bulgara, ed ha già tentato nel febbraio 1923 di assassinare Stambolijski e tre dei suoi ministri. Il 23 marzo dello stesso anno, dopo una lunga conferenza a Niš, nella Serbia meridionale, viene sancito nella città serba un trattato con cui il governo bulgaro si impegna a mettere definitivamente al bando l’attività della VMRO, che il primo ministro bulgaro firma personalmente.
La fine di Stambolijski
Il 9 giugno 1923 un violentissimo colpo di stato orchestrato da un’organizzazione clandestina che riuniva le frange di destra con il sostegno dell’esercito, della VMRO e dello zar Boris III in persona rovescia l’esecutivo agrario. Ad aiutarli nell’azione anche agenti italiani inviati da Benito Mussolini come rappresaglia nei confronti della Bulgaria, che si era rifiutata di allearsi con l’Italia contro la Jugoslavia. Molti dei membri del BZNS vengono assassinati.
Le fazioni comuniste si rifiutano di intervenire, con grossa delusione di Mosca: alla fine del IV Congresso dell’Internazionale Comunista nel novembre 1922 i bulgari erano stati incitati a sostenere gli agrari. Anche la comunità internazionale si rivela disinteressata. Aleksandăr Stambolijski è quindi isolato, ma gode del sostegno della popolazione, che insorge spontaneamente in vari centri della Bulgaria.
Ritornato a Slivovica, si adopera per organizzare una controinsurrezione che vede un grande numero di partecipanti ma una penuria di armi. Il 10 giugno il ministro della guerra ordina che il capo del BZNS venga catturato e ucciso. Stambolijski cerca di nascondersi, ma il 13 dello stesso mese viene catturato. Invece di essere condotto nella capitale per l’esecuzione lo riportano a Slavovica, dove finisce prigioniero dei membri della VMRO, che lo torturano brutalmente e uccidono. La mano con cui ha firmato il trattato di Niš viene recisa, così come la testa, che viene spedita a Sofia.
L’assassinio di Aleksandăr Stambolijski è l’inizio di un periodo segnato da instabilità e violenza nel paese balcanico. Poco tempo dopo, il 16 aprile 1925, sarà teatro di uno dei più sanguinosi attentati del secolo, quello alla chiesa di Sveta Nedelja. Il BZNS sopravviverà a tutte le vicissitudini che si abbatteranno sulla nazione, e sarà l’unica formazione a cui verrà consentito di esistere durante il regime comunista. Attualmente il partito c’è ancora, ma da decenni ricopre un ruolo prettamente marginale, e da tempo non ha rappresentanti in parlamento. A Sofia, oltre alla statua, c’è ancora un grosso viale intitolato ad Aleksandăr Stambolijski in centro città.
Traduttrice e interprete. S’interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove si è laureata presso l’Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours. È autrice della guida letteraria “A Sofia con Georgi Gospodinov” (Giulio Perrone Editore).