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Erich Mielke, capo della Stasi, condannato per l'omicidio di due poliziotti nel 1931 (Wikimedia/ADN-ZB/Franke)
È il 26 ottobre 1993. Il tribunale di Berlino emette una condanna di sei anni per un anziano signore. Si chiama Erich Mielke, ha 86 anni e per più di tre decenni, tra il 1957 e il 1989, è stato a capo del ministero per la Sicurezza dello Stato. Il secondo uomo più potente della Repubblica Democratica Tedesca non è stato però giudicato per quanto fatto come vertice della Stasi, ma per un duplice omicidio, commesso più di sessant’anni prima.
Un soldato politico
Classe 1907, berlinese, orfano di madre, Erich Mielke cresce in una famiglia operaia. Suo padre e la sua matrigna sono membri del KPD, il Partito Comunista Tedesco. Lui entra a far parte delle varie organizzazioni del partito, tra cui il Rote Frontkämpferbund, la milizia di autodifesa del KPD. La politica è il suo mestiere, anche se lavora ufficialmente in fabbrica.
Nel 1930, a 23 anni, per avere partecipato a Lipsia a una manifestazione non autorizzata, conosce anche il carcere di Alexanderplatz a Berlino. Rimasto disoccupato, Mielke, che aveva vinto una borsa di studio per il Gymnasium ma l’aveva abbandonato per le sue difficoltà con le lingue classiche; diventa redattore di Rote Fahne, il quotidiano del Partito Comunista Tedesco.
Tensioni
Nel 1931 Mielke è un apprezzato e conosciuto “compagno”, fedele e laborioso. È uno che si impegna e che, se serve, non disdegna di muovere le mani e impugnare le armi. Berlino all’inizio degli anni Trenta è uno dei luoghi dove la violenza politica, di entrambi i segni, è più evidente. La Repubblica di Weimar fa fatica a dare stabilità a un Paese in crisi per le conseguenze del Trattato di Versailles e per la crisi del ’29. Nel 1931 una discussione feroce riguarda lo scioglimento del Parlamento della Prussia, il Land dove si trova Berlino.
A favore si schierano sia il Partito Nazionalsocialista che quella comunista, oltre ad altre formazioni di destra. Viene deciso di indire un referendum per il 9 agosto. Già il giorno prima a Bülowplatz si registrano scontri tra i manifestanti e la polizia. Un colpo d’arma da fuoco sparato dalle forze dell’ordine da distanza ravvicinata uccide il 19enne Fritz Auge e ferisce un altro dimostrante.
Gli avvenimenti di Bülowplatz per i militanti del KPD sono un’occasione d’oro per alzare il livello dello scontro. I vertici locali del partito vogliono punire la polizia. L’obiettivo di Hans Kippenberger, deputato al Reichstag e capo del servizio informazioni del KPD, numero due del Partito dietro Ernst Thalmann (lo sapevate che ai Caraibi esiste un’isola dedicata a Ernst Thalmann?), di Heinz Neumann e del responsabile dell’autodifesa per il quartiere di Wedding Michael Klaus, incontratisi in una taverna di Berlino, è il 49enne Paul Anlauf, ufficiale della polizia e responsabile della zona. I due killer sono Erich Mielke ed Erich Ziemer, 25enne, anche lui berlinese, abile con le armi, che si sono offerti come volontari.
L’omicidio, di cui sono al corrente i dirigenti locali, come Walter Ulbricht, futuro capo di Stato della DDR, è pianificato per la sera del 9 agosto, la stessa del referendum, dove vincerà il sì, ma non verrà raggiunto il quorum. Intorno alle 19 Anlauf, insieme al collega Franz Lenck e ad August Willig, sta camminando nel quartiere di Mitte, attraverso la Weydingerstraße in direzione della Karl-Liebknecht-Haus, dove c’è la sede del KPD. Arrivano alla Bülowplatz e poi tornano su quella che ora è Rosa-Luxemburg-Straße.
In questi istanti Mielke e Ziemer, probabilmente nascosti in un androne, si avvicinano rapidamente ai tre, cogliendoli alle spalle. L’unico che si accorge di quello che sta per succedere è Willig che ha sentito i suoi sicari parlare. Riesce a estrarre la sua pistola, ma è troppo tardi. Partono sei colpi. Anlauf muore subito, Lenck poco dopo, mentre Willig, seppur gravemente ferito, riesce a salvarsi, dopo aver scaricato tutto il caricatore della sua arma d’ordinanza verso gli assassini.
La Storia cancella le tracce
Nelle ore successive inizia la caccia all’uomo. Vengono perquisite le abitazioni di sospetti, oltre che la sede del partito e del giornale Rote Fahne. I due autori del delitto stanno già lasciando la Germania, via Rostock, passando in Unione Sovietica. Il 23 aprile 1933 il Tribunale di Berlino emetterà un mandato di arresto per Mielke e Ziemer.
Mielke per alimentare il mito di “resistente contro il nazionalsocialismo” racconterà che il tribunale l’avrebbe condannato a morte. In verità il processo non iniziò neppure, venendo archiviato nel 1934, per l’impossibilità di procedere. Gli unici a pagare subito sono alcuni fiancheggiatori, a partire da Michael Klaus, che viene condannato a morte, pena poi commutata da Hitler nel carcere a vita (Klaus morirà in prigione).
Ad aiutare Mielke, che comincerà un peregrinare per l’Europa, a cancellare gli omicidi saranno gli eventi della Storia. Ziemer si arruola per combattere nella guerra civile spagnola e muore sul fronte di Aragona nel 1937, mentre Hans Kippenberger, Neumann e le altre persone che hanno collaborato alla preparazione dell’attentato diventano vittime delle “purghe staliniane”, venendo deportati e uccisi nei gulag, L’unico a sopravvivere, oltre a Mielke è Walter Ulbricht, anche lui destinato a fare carriera nella Repubblica Democratica Tedesca.
Un mandato di cattura sparito
Alla fine della Seconda guerra mondiale, quando Erich Mielke torna dopo 14 anni a Berlino, quei due omicidi sembrano tornare a galla. Il 17 febbraio 1947, il procuratore generale di Berlino Wilhelm Kühnast emette un mandato di cattura per duplice omicidio per Mielke. Quell’atto, su pressione della SED, il partito guida della zona di occupazione sovietica, viene dichiarato non valido.
Pochi mesi dopo, nel dicembre 1947, Wilhelm Kühnast viene destituito ed emigrerà a Ovest. Nell’iconografia della Germania Est gli unici responsabili degli omicidi del 1931 sono Neumann e Kippenberger, tacciati di un atto incompatibile con l’ideologia della lotta di classe.
Dopo il 1989 Mielke, ormai semplice cittadino, deve fare i conti con il proprio passato. Perché il mandato di cattura era rimasto valido all’Ovest, ma soprattutto perché i giudici vanno a recuperare informazioni dall’archivio del PCUS di Mosca, da cui escono le prove per condannare Erich Mielke, l’uomo che per più di mezzo secolo, ha nascosto la verità, utilizzando il suo potere.
Classe 1984, nato a Sesto San Giovanni quando era ancora la Stalingrado d’Italia. Germanocentrico, ama la Spagna, il Sudamerica e la Mitteleuropa. Collabora con Avvenire e coordina la rivista Cafè Rimet. È autore dei volumi “C’era una volta l’Est. Storie di calcio dalla Germania orientale”, “Rivoluzionari in campo” e coautore di “Non solo Puskas” e “Quattro a tre”.