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Esterni della facoltà di Filosofia di Belgrado con gli slogan di protesta (Meridiano 13/Giorgia Spadoni)
Le proteste in corso in Serbia si stanno contraddistinguendo non solo per la propria entità o per l’evidente e netto taglio che rappresentano nella storia – politica e sociale – del paese, ma anche per la varietà di fenomeni che le accompagnano. Oltre ai vari neologismi, come quello legato al celeberrimo affaire dei ćaci, i poco convincenti studenti inviati dal presidente Vučić a presidiare il Pionirski park a Belgrado, o slogan di grande effetto come pumpaj (“pompa!”), queste proteste hanno la particolarità e il pregio di unire alla serietà delle richieste dei partecipanti humor e numerosi riferimenti alla cultura di massa.
Il risultato sono delle proteste spesso incredibilmente pop, con slogan che citano serie tv conosciute come Better Call Saul o videogiochi come quelli della serie di Grand Theft Auto, ma anche con una componente musicale non indifferente, che suggerisce un collegamento piuttosto stretto tra i movimenti di protesta popolare e la scena musicale.
Trattasi di quella che ormai è definibile come una tradizione, già osservabile se si prendono in considerazioni altri, grandi manifestazioni avvenute in Serbia, stavolta negli anni Novanta.
Non sono mancati, fin da quando sono iniziate le proteste causate dal crollo della tettoia alla stazione ferroviaria di Novi Sad il 1° novembre 2024, riferimenti alle manifestazioni anti-Milošević di inizio e fine anni Novanta, che videro una grande partecipazione popolare – oltretutto di gente affine a credi politici spesso completamente opposti tra loro – e una presenza preponderante dei più conosciuti rappresentanti della scena musicale serba. Costoro non solo appoggiarono le proteste, ma ne divennero, a tratti, i protagonisti.
Musica e proteste in Serbia negli anni Novanta
9 marzo 1991. Una settimana prima a Pakrac, in Croazia, c’era stato il primo e vero scontro armato tra i reparti speciali della polizia croata e l’Armata popolare jugoslava in seguito al tentativo di occupazione, da parte dei poliziotti serbi affiliati ai leader ribelli Milan Babić e Milan Martić.
Non ci sono vittime, sebbene la testata belgradese Večernje novosti e Slobodan Milošević parlino di massacri e attacchi brutali sulla popolazione civile, notizie poi smentite dai media e dalla presidenza jugoslava stessa.
Proprio la politica del leader serbo riguardo la libertà di stampa e la gestione dei media, unita alle crescenti tensioni in Croazia e, in generale, nella federazione, inizia a causare un malcontento che non si esaurirà mai. Un commento riguardante il Movimento serbo di rinnovamento (SPO) di Vuk Drašković – un partito conservatore, pro-monarchico, a tratti nazionalista, ma comunque leggermente più moderato dei radicali di Vojislav Šešelj, non appoggiando la pulizia etnica – in cui esso viene tacciato di simpatie filo-ustascia e accusato di tentare di minare la stabilità della Serbia e della Jugoslavia intera, porta lo stesso leader della SPO a lanciare un appello a manifestare in piazza contro il regime.
Alla protesta partecipano decine di migliaia di persone (alcune fonti parlano di 150mila o più partecipanti), comprese personalità dello spettacolo e intellettuali. Gli scontri, a tratti particolarmente violenti, portano a due vittime, un poliziotto e un manifestante, e alla messa al bando delle reti indipendenti B92 e Studio B.
Più tardi, nel novembre del 1991, a guerra in Croazia inoltrata, i belgradesi scendono di nuovo in strada per opporsi alla mobilizzazione forzata, alla distruzione delle città di Vukovar e Dubrovnik e, ancora una volta, all’uso indiscriminato dei media a fini propagandistici. Tali proteste si ripetono pochi mesi dopo, nel 1992, con l’inizio dell’assedio di Sarajevo. Anche qui è visibile un’accorata partecipazione delle personalità dello spettacolo e, soprattutto, della musica – anche maggiore rispetto alle precedenti manifestazioni.
Se durante le proteste del marzo 1991, avendo anche una matrice anticomunista (da non dimenticare il monarchismo della SPO) ed essendo caratterizzate dalla partecipazione di elementi nazionalisti, la componente di esponenti della scena musicale più alternativa è quasi inesistente, diverso è il caso delle proteste contro la guerra.
Di quel marzo 1991 è degna di nota la canzone Čistićete ulice (“Pulirete le strade”) dei Direktori. Un punk sporco e arrabbiato parla di “rossi” che fanno le valige per andarsene in Africa e che presto torneranno a “pulire le strade come prima”. Inequivocabili le parole “l’addio si avvicina / in questi giorni la Serbia / sarà la tomba del vostro clan”. Un chiaro riferimento ai socialisti di Milošević.
La musica cambia, letteralmente, già poco tempo dopo. Nell’aprile 1992, all’inizio della guerra in Bosnia e a guerra in Croazia ormai avviata, i membri dei Rimtutituki, super-band formata dai membri degli Ekatarina Velika, Partibrejkersi e Električni Orgazam, girano per Belgrado a bordo di un camion suonando Slušaj ‘vamo (“Ascolta qua”), che con gli inequivocabili versi “mir, brate, mir” (“Pace, fratello, pace”) diventa l’inno contro la guerra per eccellenza nella Serbia di quegli anni.
Allo stesso tempo, la canzone Buka u modi (“Rumore di moda”) dei Disciplina Kičme, registrata nel 1990, entra a far parte della colonna ufficiale di tutti quei movimenti di protesta contro il regime che nasceranno in Serbia negli anni Novanta per via della sua melodia scanzonata ma energica che ben rende il desiderio di libertà e ribellione di chi scende in strada. Buka u modi, tuttavia, non ha un esplicito messaggio di ribellione, così come Rimtutituki, che piuttosto si concentra nel trasmettere un messaggio di pace.
Un esempio diverso, risalente alla seconda metà degli anni Novanta, epoca delle proteste del 1996-1997 e, in fine, di quelle proteste che porteranno alla caduta di Milošević, è Šejn degli Eyesburn.
Cover a metà tra l’hardcore punk e il reggae dell’omonima canzone degli zagabresi Haustor – un pezzo dalle sonorità western (il titolo è un rimando a Shane, protagonista de Il cavaliere della valle solitaria (1953) – Šejn è un aperto invito alla lotta. Izađi i bori se, “Esci fuori e combatti”, pronunciano gli Eyesburn mentre, nel video-spot ufficiale, un mirino messo in sovrimpressione diventa a tratti una croce serba e un televisore trasmette le immagini delle rovine di Vukovar o dei ponti distrutti in Serbia durante i bombardamenti Nato del 1999.
Sempre alla fine degli anni Novanta risale Proći će i njihovo (“Anche il loro [tempo] passerà”) dei KKN (Kanda, Kodža i Nebojša), un malinconico pezzo reggae che, tuttavia, nasconde un pizzico di fiducia per il futuro, come suggerisce il titolo.
Cade il governo: le proteste attuali tra ritmi passati e ritmi moderni
Tornando ai nostri giorni, la Serbia è in strada da quasi quattro anni. Prima le proteste ecologiste del 2021-2022 contro la multinazionale australiana Rio Tinto e le sue miniere di litio, poi nel 2023 dopo la sparatoria alla scuola elementare “Vladislav Ribnikar” di Belgrado, dove un tredicenne ha ucciso nove alunni e il guardiano della scuola, per arrivare alle attuali proteste contro Aleksandar Vučić in seguito alla tragedia di Novi Sad.
Come negli anni Novanta, a guidare le proteste sono gli studenti, il che facilita la nascita di spazi in cui giovani e non si riuniscono per assistere a proiezioni, lezioni su temi specifici o, semplicemente, per suonare o ascoltare musica. Anche nel caso delle manifestazioni ancora in corso non manca una colonna sonora ad accompagnarle. Tuttavia, a differenza delle proteste degli anni Novanta, caratterizzate da una polarizzazione più ampia dal punto di vista musicale (i tormentoni appartenevano più che altro alla scena musicale alternativa), oggi si dispone, invece, di un soundtrack composto da un melting pot di generi diversi tra loro, ma che in qualche modo accontentano tutti coloro che scendono ogni giorno in strada.
Non mancano Buka u modi, ancora considerata inno ufficiale da cantare durante le proteste, o le canzoni di Đorđe Balašević come Živeti slobodno (“Vivere liberamente”) o di Momčilo Bajagić Bajaga. Nel caso di quest’ultimo, come non intonare Pada vlada (“Il governo cade”).
La mostra dedicata al frontman della band EKV Milan Mladenović(Meridiano 13/Giorgia Spadoni)
Anche gli EKV, ancora apprezzatissimi e rimpianti, persino da coloro che sono nati dopo la loro scomparsa, risuonano per Belgrado con Zemlja (“Terra”). Curiosamente, ma non troppo, dato che si rifà ad uno slogan recitante Nije kraj ni za milion godina (“Non sarà finita nemmeno tra un milione di anni”), viene cantata Za milion godina (“Per un milione di anni”), prodotta dalla YU Rock misija (un equivalente jugoslavo del Band Aid) nel 1984. La canzone è stata riproposta da un gruppo di studenti della Facoltà di arti drammatiche di Belgrado con un video ritraente gli studenti in sciopero.
D’altro canto, sono tornate attuali canzoni patriottiche di ben più antica origine di quelle già citate come Vostani Serbije (“Sorgi, Serbia”), composta dallo scrittore e linguista serbo Dositej Obradović, o Marš na Drinu (“La marcia sulla Drina”), risalente alla Prima guerra mondiale. Anche l’inno serbo, Bože pravde, sembra essere diventato una delle canzoni preferite di coloro che protestano (e anche dei loro oppositori, che però sembrano non conoscerne le parole).
Si sta facendo strada, tuttavia, una tendenza ben più moderna e piuttosto lontana dalla tradizione che vuole le canzoni degli anni Ottanta e Novanta come colonna sonora ufficiale delle manifestazioni. Più remix, campionamenti e creatività satirica. Gli studenti – che spesso sono gli stessi a produrre i singoli pezzi – sono protagonisti di una svolta verso la techno.
Uno degli esempi più emblematici è il brano Buđenje RTS-a (Jao) (“Il risveglio della RTS (Ahimè)”) prodotto da SevdahBABY, in cui la voce di una conduttrice del notiziario radiofonico nazionale viene manipolata in chiave ironica per denunciare l’inadeguatezza della copertura mediatica.
Il pezzo è diventato virale in poche ore grazie ai social media, mostrando quanto la musica di protesta oggi si sia trasferita dalle piazze fisiche a quelle virtuali. Un altro esempio è Svi u blokade (“Tutti ai blocchi”, in riferimento al fatto che le proteste attuali in Serbia vengono definite blokade, ovvero “blocchi”). Composta e prodotta da degli studenti di produzione musicale dell’Accademia d’arte di Novi Sad, Svi u blokade è diventata uno degli inni preferiti dei manifestanti e degli studenti in generale, raggiungendo un notevole successo online e venendo suonata dal vivo dai propri compositori durante la famosa trasmissione (fortemente critica nei confronti del governo serbo attuale) 24 minuta sa Zoranom Kesićem.
In conclusione, il paragone tra le due epoche rivela un passaggio dalla militanza analogica a una resistenza digitale. Negli anni Novanta la musica era frutto di una scena underground che cercava di sopravvivere alla censura; oggi, è spesso prodotta da artisti indipendenti con mezzi tecnologici accessibili e distribuita su piattaforme globali. Dove una volta c’erano cassette e volantini, oggi ci sono meme, hashtag e video su TikTok.
Tuttavia, il nucleo emotivo e politico rimane lo stesso: la musica è ancora il mezzo più immediato per esprimere disagio, ironia, rabbia e speranza. Se negli anni Novanta i testi erano più diretti e aggressivi, oggi prevale un linguaggio ibrido che mescola umorismo e critica sociale, un approccio che ha il vantaggio di eludere la repressione pur mantenendo la forza del messaggio.
È dottorando in letterature comparate presso l’Università di Zagabria. Le sue ricerche e i suoi interessi vertono sulla cultura pop e giovanile in Jugoslavia e sulla letteratura della transizione in Croazia e Slovenia. Da aprile 2024 collabora in qualità di ricercatore indipendente con l'Istituto di Etnologia e Folkloristica di Zagabria. Collabora coi progetti Est/ranei e Andergraund.