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Lo specchio come metafora: “da febbraio a febbraio” di Varvara Pražka

Fresco di stampa presso Prinz Zaum, da febbraio a febbraio è un libro scritto e illustrato dall’artista attualmente residente a Mosca che si presenta al pubblico con lo pseudonimo di Varvara Pražka. A ogni illustrazione, originariamente realizzata con la tecnica della linoleografia, sono associati uno o più testi, qui pubblicati in edizione bilingue. La traduttrice, Anastasia Komarova, è tra coloro che gestiscono il Polski Kot e che ogni anno organizzano il festival torinese di cultura slava Slavika, di cui si è appena conclusa la settima edizione.

Il libro è finito tra le mani della traduttrice proprio in occasione dell’edizione di Slavika dello scorso anno, dove Varvara Pražka era una delle undici artiste che hanno preso parte alla mostra Aesopian Language (incentrata sul cosiddetto “linguaggio esopico“), organizzata in collaborazione con il festival di illustrazione moscovita Mors.

Pražka ha pubblicato anche altre opere strutturate in modo simile, come lo zine Čajki uvidjat tebja (“I gabbiani ti vedranno”), che è possibile “sfogliare” virtualmente nel video pubblicato sul canale YouTube del progetto Graund Soljanka. Un ulteriore esempio è Zerkalo (“Lo specchio”) apparso sempre per Graund Soljanka. Entrambe le opere trovano una eco in da febbraio a febbraio. Difatti, anche in quest’ultima è possibile rintracciare una predilezione dell’autrice nel dipingere l’orrore del contemporaneo servendosi dell’accostamento delle figure umane a quelle ornitologiche, da cui deriva l’aderenza al tema esopico.

Se in I gabbiani ti vedranno abbiamo appunto i gabbiani, in da febbraio a febbraio è l’arrivo dei corvi, associati spesso in ambito letterario all’elemento demoniaco, a rappresentare l’imporsi del silenzio e della disumanizzazione.

Allo stesso modo, il tema dello specchio indagato graficamente nell’omonimo Zerkalo, ritorna in da febbraio a febbraio sotto forma di tropo. L’autrice rappresenta lo specchio come metafora mortifera di un’umanità scesa nell’orrore dell’auto-annientamento, effetto di una guerra che è “poltiglia sanguinolenta”:

Человек убивает человека.
Человечество убивает самое себя.
Зеркало как метафора.

Uomo uccide uomo.
L’umanità uccide se stessa.
Lo specchio come metafora.

Al centro dell’opera, come suggerito dal titolo, vi è il tema della guerra e le ripercussioni che questi due anni di conflitto hanno avuto sulla società. A tal proposito, all’inizio si legge una chiara dichiarazione di intenti, ossia la volontà di prendere parola. Nel dichiarare questa volontà l’autrice si serve di coppie ossimoriche: amore e sofferenza, paura e compassione, voce e silenzio. In questi opposti, che ritornano anche nelle pagine successive in dichiarazioni come “la morte è vita”, emerge la rappresentazione di un mondo di valori capovolti, un ribaltamento semantico in ogni elemento di umanità sbiadisce.

In poco meno di una trentina di pagine viene racchiuso uno sguardo esemplificativo di chi è rimasto in Russia e non ha intrapreso la strada dell’emigrazione. La realizzazione dell’opera risponde al bisogno di Pražka di prendere parola, giungere alla coscienza del suo pubblico, esprimersi. Un bisogno, quello espressivo, sempre più impellente in un contesto di libertà ferocemente mutilata e messa a tacere da quando “i corvi hanno aperto la caccia”.

Il tratto delle illustrazioni racchiude drammaticità, mentre l’assenza di un’ampia gamma cromatica (ridotta all’uso del bianco e a una scala di grigi in netto contrasto con un rosso accesso) riflette la condanna degli individui alla progressiva spersonalizzazione. L’unica figura ad avere dei tratti che la caratterizzano è quella in cui si auto-raffigura l’autrice, rappresentata con uno sguardo assente: l’annegare nell’assuefazione è un progetto naturale, scrive Pražka, come morire.

Ты лишен голоса,
обездвижен.
Спрячь свои слёзы.
Они считают удары твоего сердца.
Если оно живое и сострадает,
тебе нужно быть осторожным.
За тобой следят.

Ti hanno tolto la voce,
immobilizzato.
Nascondi le tue lacrime.
Loro contano i battiti del tuo cuore.
Se è vivo e prova compassione,
devi stare attento.
Ti sorvegliano.

La pubblicazione presso Prinz Zaum dell’opera di Pražka rappresenta un evento importante e in un certo senso “unico” nel panorama editoriale italiano, dove le voci della dissidenza russa contemporanea compaiono sì, ma in episodi isolati. Un caso significativo è stata la parentesi del progetto di traduzione di ROAR, rivista online gestita da Linor Goralik. Allo stesso tempo si assiste a una (ri)pubblicazione dei “classici” o dei “nuovi classici”, si pensi solo al lodevole lavoro di Carbonio Editore con i fratelli Strugackij.

Tra i vari motivi che soggiacciono dietro questa assenza vi è, ad esempio, l’effettiva possibilità della ricezione di certi formati (come lo zine) che, pur essendo ormai diffusi e abituali nel contesto russo, sono invece ancora estranei al pubblico italiano. Nel tradurre Pražka, Komarova pone indirettamente l’attenzione su una questione importante, ovvero la necessità di interrogarsi su una delle funzioni chiave dell’atto traduttivo, ovvero la possibilità di creare ponti e dialoghi con contesti isolati.

Se da un lato, infatti, il contesto editoriale italiano si sta aprendo a voci del dissenso russo stanziatosi nei nuovi grandi centri dell’emigrazione – dalle capitali del Caucaso a Berlino – sul supporto a quelle voci rimaste dentro la Russia vi è ancora molto lavoro da fare. Tuttavia, opere come da febbraio a febbraio ne sono riusciti e felici esempi.

da febbrario a febbraio, uscito in una veste e in una modalità che ci ricorda quella del samizdat, è un libro contro la guerra e un incitamento a resistere, reagire in nome del bisogno di proteggere i contorni di un’umanità soppressa, un grido al non arrendersi e alla lotta. Citando in chiusura dei versi di Anna Achmatova del 1942 che riecheggiano fortemente attuali ancora oggi:

“Sul nostro orologio suonò l’ora del coraggio / e il coraggio non ci abbandonerà”.

da febbraio a febbraio di Varvara Pražka, tradotto da Anastasia Komarova, Prinz Zaum, 2024

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Martina Mecco
Martina Mecco

Dottoranda in Studi germanici e slavi presso l’Università La Sapienza di Roma e l’Univerzita Karlova di Praga. I suoi studi si concentrano sulla letteratura e la critica ceca degli anni Venti e Trenta. Cofondatrice del progetto Andergraund Rivista, è anche membro attivo della redazione di Est/ranei.